
Edito da Celestino Barbaron nel 2021 • Pagine: 414 • Compra su Amazon
Un rocambolesco quanto inatteso viaggio nel tempo, intrapreso per disperazione e con tanta speranza, diventa l'occasione per poter cambiare gli eventi e con essi i sogni e le speranze di un ragazzo, di una comunità e di un popolo intero.
Tommaso Bernardini è il protagonista di questa epopea moderna che prende vita nella sua Settebagni, in una Roma travolta dalla pandemia di COVID-19 fino ad arrivare nel cuore degli anni Ottanta.L’uomo proverà a cambiare le sorti del festival di Sanremo, il risultato di Roma-Liverpool, a salvare una vita e l'anima di due bambini.
Perché l’amore è molte cose, l’impossibile deve pur esistere e la magia è sempre necessaria!

Vallo a spiegare a un bambino che non si può piangere e soffrire per una partita. Come si può fargli capire che il calcio è solo un gioco e che l’amore per la propria squadra non può valere quanto l’amore per una persona, per un cane, un lavoro, un luogo o finanche per la propria vecchia automobile che sta per essere rottamata? È un po’ come provare a spiegargli che nel buio non si nasconde alcun mostro e che è da bambocci credere che nell’armadio ci sia acquattato un orco dai denti affilati. Ma l’amore, come la paura, non ha niente a che fare con la ragione.
Tommaso si svegliò quella mattina con una cappa che gli opprimeva l’anima e sarebbe voluto restare nel proprio letto per almeno tre giorni e poi ancora per altri tre. Desiderava soltanto riaddormentarsi in modo che, ad ogni risveglio, ritornasse almeno la speranza che si fosse trattato soltanto di un brutto sogno e che la sua Roma avesse ancora una possibilità di vincere quella Coppa dei Campioni. Di tutt’altro avviso era la madre che glielo fece capire tirando su con un paio di strappi le tapparelle della sua cameretta.
«Tommaso! Sono un quarto alle otto. Forza, tirati su o farai tardi a scuola.»
Si trascinò fino al bagno per lavarsi, si sciacquò la faccia come non aveva mai fatto, nella speranza che venissero via anche quelle immagini che continuavano a tornargli alla mente. Bruno Conti, mani ai fianchi, prende la rincorsa e la palla vola altissima sopra la traversa. Ciccio Graziani, si fa il segno della croce di fronte a un pagliaccio di portiere che finge che le gambe non lo sostengano, e poi tira una palla che scheggia la traversa e vola altissima. Si gettò l’acqua sul viso ancora una volta e poi ancora, ma le immagini di Conti e Graziani che sbagliavano il loro rigore non andarono via. Non se ne sarebbero andate mai più. Andò in cucina, dove trovò la tazza di caffellatte e i Novellini da inzupparci dentro, ma lo stomaco era ancora chiuso.
«Tommaso, ma cos’è quella faccia? Ma su, che è solo una partita di pallone. Dai che la Roma ne è uscita a testa alta», lo scosse la madre.
Solo una partita di pallone… A testa alta… è solo una partita di pallone… La Roma ne è uscita a testa alta… continuò a ripeterselo nella testa mentre si vestiva e preparava la cartella. A testa alta… a testa alta… Prese la sciarpetta e se la mise al collo. Stava per uscire di casa quando l’occhio cadde sul televisore della sala da pranzo. C’era ancora l’addobbo che aveva allestito la sera precedente. Sopra allo schermo aveva messo una grande coppa che aveva vinto in parrocchia a un torneo di calcio della festa patronale. Sulla coppa aveva appoggiato un pallone giallorosso che il padre gli aveva comprato qualche giorno prima all’emporio. Sopra quel maledetto pallone c’era stampato:
Roma Campione D’Europa 1984
«Ciao mamma, io vado», salutò Tommaso come ogni mattina, ma quella non era una mattina come le altre. Tra qualche minuto sarebbe uscito fuori e li avrebbe dovuti affrontare. Scese due rampe di scale e si ritrovò davanti il suo amico Gianluca con gli occhiali tutti appannati. Era appena uscito di casa anche lui e stava fermo sul pianerottolo ad aspettarlo, perché gli mancava il coraggio di scendere da solo. I due si guardarono senza dirsi una parola, poi si abbracciarono.
«Tomma’, ma perché? Perché?», piagnucolava Gianluca.
«Gianlu’, guardami! Guardami! Mi raccomando: a testa alta», lo rincuorò Tommaso.
Ma usciti dal portone la testa non ci riusciva proprio a stare così alta.

Come è nata l’idea di questo libro?
Chiunque mi chieda: “quale è stata la prima idea? Quale la prima scintilla che ha scatenato la stesura di un romanzo come Saturno se ne frega?”, be’,forse direi che la partita Roma-Liverpool del 30 maggio 1984 sia stata proprio l’innesco. Quella finale di Coppa dei Campioni è una ferita ancora aperta per ogni tifoso giallorosso perciò tentare di cambiarla, almeno nella fantasia, mi è sembrato un modo per esorcizzare quella sofferenza. Per estensione la possibilità di cambiare qualche evento del passato ed essere un ingranaggio attivo delle famose ‘sliding doors’.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La prima stesura del romanzo è durata meno di tre mesi. I personaggi mi hanno accompagnato e portato laddove volevano. Le storie esistono già. Bisogna soltanto assecondare le idee e affidarle ai propri personaggi. Se questi sentono la fiducia dell’autore sapranno accompagnarti in un intreccio intrigante o quantomeno in quella che potremmo definire una bella e onesta storia da raccontare.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Stephen King su tutti. Il più grande di tutti a raccontare e tenerti lì incollato alle pagine. Ma anche Niccolò Ammaniti.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo e ho sempre vissuto a Roma. Tant’è che la città eterna riveste particolare importanza all’interno del romanzo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
L’idea è quella di seguitare con una trilogia che non ha una continuità narrativa legata ai personaggi, ma solo di affinità con un elemento comune: Il grande raccordo anulare di Roma. Potrei considerarla come la Trifollia del signore dell’Anello.
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