
Edito da Edizioni Ensemble nel 2021 • Pagine: 84 • Compra su Amazon
“Sundara” è una parola che in sanscrito significa “bello, ben fatto”. Ed è anche il titolo di questa silloge poetica, che si pone come un viaggio attraverso il senso di incompiutezza dei vari personaggi e delle varie situazioni che si susseguono.
“Sundara” è quindi l'aggettivo riferito alla situazione sfuggente cui si aspira per tutta la silloge: il voler essere pienamente se stessi, liberandosi dalle influenze.
All'interno di “Sundara” ritroviamo il senso di sorpresa di chi, dopo la morte, si ritrova a vivere una vita sottomarina invece che nell'aldilà che aveva immaginato; il desiderio di diventare genitrice/scrittrice della protagonista di “Mangia la mandragola”; l'amara condizione di ibrido dell'uomo-limone, in “Un limone al Polo Nord”; l'impossibilità di comunicare in “Una pandemia”; la lista di archetipi vegetali come prototipo di vita non sfruttata, in “Clorofille”; la difficoltà di comunicare senza ferire l'interlocutore in “La sillaba selvaggia”; la ricerca del sentimento primitivo nei lisergici scenari polinesiani di “Go Gauguin”; la riflessione sul privilegio di invecchiare (e sulle morti premature) di “Un giorno avrai”; gli sbandamenti sentimentali di “Macchiandoci di polverine cardiache”; l'estasi spirituale di “Hanami sotto la pioggia” e altro ancora.
Il poema finale, intitolato - in esperanto - “Nova genezo” e suddiviso in sezioni, sintetizzando il fil rouge della raccolta, esplica in una micro-Odissea moderna - filtrata da simbologie “pop” - il viaggio di un personaggio che desidera spogliarsi di tutte le influenze (genetiche, culturali, emotive) per approdare alla mitizzata condizione ideale.

Lei scompone le gambe,
affetta parole,
sbarocca di nulla
e poi rifinisce l’architettura.
“Mangiala, prendila”,
sussurra
la finestra,
col linguaggio dell’aria
tambureggiante sulla schiena.
La sua mano ora ha una cravatta sul dorso,
inguantata in un tuxedo
dal metacarpo in su.
La sua mano richiama l’attenzione
del ruolo.
Improvvisamente
la narice della penna ha un’epistassi
d’inchiostro e anch’essa grida:
“Mangiala, la mandragola”.
Non desidera figli,
non in carne ed ossa.
Le pupille in rincorsa
hanno il ventre bagnato
da scritture secolari,
rotolano come il porcellino
nella pozzanghera.
Lei desidera una maternità diversa,
liberare le parole incatenate
sotto la lingua
e farle muovere sulla pagina
con l’estetica succosa delle labbra.
Così ha mangiato il fantoccio d’erba
e ha partorito dalle dita,
ripulendo ogni parola,
spruzzandovi sopra l’acqua
con il do-re-mi
di un geometrista d’amore.
Sbocciarono rapidissimi
sulla pagina, nell’ordine:
i baffi dei coniglietti,
i bastoni con pomi d’avorio,
le colorazioni fiamminghe,
la zampetta della cavalletta,
le ideologie di un Termidoro,
una spiaggia color fiamma.
Evidentemente credeva fosse questo
il destino di ogni carne:
la carne degli angeli,
quella degli uomini,
quella dei volatili,
dei pesci,
tutto quanto in lenta derubescenza,
tutto sparpagliato su carta
come la carne trasparente dei pensieri.
E il desiderio di Rahel,
è anche il tuo?
La sillaba selvaggia
Si inarcava come il fuoco in un labirinto.
Non riusciva ad esprimersi pienamente,
dal momento che era necessario
un adattamento al contesto:
badare a non far male.
Era semplicemente un “No!”
impellicciato di spine,
consapevole che sarebbe stato pronunciato
con forza titanica,
tale da spezzare
la più coriacea delle amicizie,
da scatenare la più tenace
delle malattie psicosomatiche.
Necessitava, tuttavia,
di una mossa di alleggerimento.
Innalzatosi nelle sfere celesti,
decise di disimparare la ferinità umana,
di educarsi alla dolcezza della fauna.
Così la sillaba osservava dall’alto
e pensava:
“Felice, il piccolo koala si inerpica,
dal ventre sino al collo della madre.
Felice, fa tossire le mani di gioia:
la loro Terra
non è la nostra, per il semplice fatto
che l’uomo ha rimpiazzato con la lingua
una molteplicità di vibrazioni sensoriali”.
Sulla superficie della Terra, emergono a fiotti
gli spettri di ali,
barbe, corsetti, fiale,
alabarde, rossetti,
ossa e spine.
Il nome di questa penna, ad esempio è:
Amanda.
Apparteneva a un beccaccino,
tra milioni di beccaccini,
uno nato nel 1683.
Non basterebbe una vita per studiare
la bellezza regalata da Amanda,
che ora giace eternamente in fondo a un fiume,
offrendo i suoi défilé
acquatici
a variegate specie.
Fuoriuscendo umida da quella cinematografia fluviale,
la sillaba comprese quale vergogna e colpa
sarebbe derivata
dall’offrire al prossimo
meno beneficio di quanto siano capaci di fare
le cose morte.
Rimodellò quindi il suo suono,
svuotando la bocca che la conteneva
da tutta l’artiglieria pesante,
si spogliò della sua corazza spinata e,
infine, dalle labbra,
volò via.

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea del libro è nata quando ho dovuto dare seguito al mio esordio “Le stanze dentro”: venivo da un periodo di grandi cambiamenti e ho deciso di dare vita a una silloge che, pur mantenendo l’impronta surrealista che caratterizza la mia scrittura, avrebbe presentato personaggi e situazioni incompiute, “difettose”, una serie di “aspiranti felici” ma che non sono (o non possono essere) tali, in modo da lasciare vivo quel desiderio che, come un miraggio luminoso, si pone davanti ed è ciò che ci spinge a vivere.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Portarlo a termine non è stato semplicissimo: gravava l’ombra del predecessore (che era arrivato secondo al Premio Nabokov e finalista al Premio Carver, un risultato che da esordiente mi ha reso davvero felice), ma paradossalmente l’arrivo della pandemia mi ha “costretto” più tempo in casa e ha accelerato il processo di scrittura.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei autori di riferimento non sono principalmente italiani: posso citare Czeslaw Milosz, Dylan Thomas, Nikolaj Zabolotskij tra gli stranieri, mentre ultimamente sto apprezzando Milo De Angelis e Gianpaolo Mastropasqua tra gli italiani.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo in Lombardia dal 2017, quando ho iniziato a lavorare come insegnante nelle scuole medie. Sono originario della provincia di Bari e ho vissuto prima a Mola di Bari, poi a Rutigliano.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il futuro prossimo è già segnato. La terza silloge poetica è completata e in fase di revisione (uscirà con tutta probabilità nella prima metà del 2023), ma dopo questa trilogia poetica sento la necessità di scrivere in prosa, per cui ho già iniziato a scrivere anche il mio quarto libro, che sarà una raccolta di racconti abbastanza particolari.