
Edito da Bertoni Editore nel 2021 • Pagine: 372 • Compra su Amazon
218 a.C. Annibale Barca parte alla conquista di Roma. E' spinto dal voto fatto alla dea Tanit di dedicarle tutto l'oro di Roma in cambio della vita del suo unico figlio: Amilcare. La seconda guerra punica viene raccontata attraverso gli occhi di Amilcare, il figlio di Annibale, salvato dal venire sacrificato sull'altare di Tanit.
Giorni nostri: Angelo è un ufficiale della Polizia penitenziaria che ritrova nel suo bagno un oggetto malvagio: è il simbolo di Tanit, che lo spinge irresistibilmente verso il suo paese natale, sui monti delle Mainarde, proprio dove trent'anni prima, i suoi amici d'infanzia hanno commesso un brutale omicidio, mai venuto alla luce. Il gruppo degli amici viene falcidiato da morti misteriose, e uno di loro scrive una lettera ad Angelo: lui parte, e al paese troverà una bella albergatrice, con la quale andrà molto d'accordo. Angelo ha un figlio medico, in missione in Afghanistan: tale missione viene presa di mira da un gruppo di terroristi guidati da una strana presenza, che intendono compiere un attentato immolando un bimbo di undici anni, chiamato Hanibal. Un maresciallo dei carabinieri indaga sulle strane vicende che si susseguono tra le sorgenti del Volturno, il carcere di Poggioreale e la Sardegna, mentre lo spirito del grande condottiero punico aleggia nell'aria.

Forse non è esattamente in culo al mondo, ma con ogni probabilità ci è molto vicino. Il villaggio sorge nel punto dove finisce la vallata che è attraversata dal fiume Murghab.
Maricaq guarda verso una distesa di basse colline coltivate a grano e meloni, poste a nord della valle. In quei luoghi dimenticati dalla civiltà, la vita è sempre stata di una semplicità bucolica: mentre gli adulti lavorano nei campi e i bambini pascolano gli animali, le donne stanno a casa con i vecchi e i neonati.
Nessuno di loro sa cos’è la corrente elettrica, nelle case non c’è traccia di acqua corrente, niente telefoni, cellulari, orologi: lo spazio viene misurato dal tempo che impiegano un uomo o un asino ad arrivare a destinazione e il tempo viene scandito dall’arco del sole. Nessuno da quelle parti aveva mai sentito parlare di governo, di polizia, e tantomeno si sapeva cosa significasse “rivoluzione”.
I talebani, per quei contadini analfabeti, erano semplicemente dei bravi studenti del Corano, che si erano organizzati per difendere la popolazione dai soprusi dei signori della guerra. Poi vennero i Kharijian, i diavoli stranieri.
Quando Hanibal vide per la prima volta gli stranieri, pensò che fossero l’incarnazione della vendetta di Dio, mandati per punirlo della sua malvagità: vennero dal cielo con un rombo di tuono e lasciarono dietro di loro solo sangue, fumo e macerie.
Era il primo pomeriggio di un venerdì, e a quell’ora Abdhul, il patriarca della famiglia, pregava il dhuhr, la terza preghiera islamica della giornata, con il volto rivolto a ovest, verso la Mecca. Sarebbe stata la sua ultima preghiera.
Insieme a lui, nella stanza, c’erano suo figlio Mehmet, di trent’anni, e suo nipote Faisal, di un anno e mezzo.
Abdhul era l’unico componente della famiglia che si fosse mai allontanato dalla sua valle: aveva lavorato per anni guidando i camion che trasportavano papaveri, per una paga da fame. Lui viaggiava dalla valle della Beqa’a, che si trova in Libano ma è sotto il controllo di Hezbollah, il Partito di Dio, verso Damasco. Nella valle della droga, che si snoda tra il Libano e la Siria, il papaverum somniferum viene coltivato estesamente, lavorato, trasformato in oppio e poi in eroina, a beneficio dei suoi estimatori in tutto il mondo.
Questo avveniva dieci anni prima, ma il nome di Abdhul era rimasto negli schedari e quindi nei computer dei servizi segreti occidentali, come pericoloso terrorista. La punizione per la sua colpa arrivò dal cielo, improvvisa come un temporale d’estate, ma stavolta il tuono venne prima del fulmine. Il primo missile intelligente li uccise quasi tutti sul colpo, senza preavviso.
Con loro c’era anche un’altra figlia di Mehmet la piccola Yasmeen, il fiore del gelsomino, che aveva sei anni. Quando tutto tremò, Yasmeen corse come il vento, ma una scheggia corse più veloce di lei, e la centrò in pieno, uccidendola in modo intelligente, senza farla soffrire. Qualche attimo dopo, la seconda bomba, anch’essa intelligente, centrò la stanza vicina e non ci fu nessuna possibilità per Fawziya, la moglie del patriarca, per suo figlio Hamyd, e per le due nuore Bahe’era e Asma. Tra le pietre, ancora vivi rimasero tre fratellini di due, sei e dieci anni: Iders, Uzuri e Hanibal, i figli di Bahe’era.
I vicini, accorsi al suono dei boati e alla vista del fumo, scavarono a mani nude tra le macerie, li trovarono e li caricarono sull’unico mezzo di trasporto che avevano: gli asinelli. Quelli furono l’ambulanza che li portò al primo e unico posto che venne loro in mente, la base dei Kharijian a BalaMurghab. Altri diavoli stranieri li misero su di un elicottero e li mandarono al loro ospedale, a Herat, dove un medico Kharijian diagnosticò che i bambini avevano ferite provocate da IED, le mine rudimentali usate dai talebani, e li trasferì all’ospedale pediatrico Mofleh.
Nessuno avvertì nessuno, i bambini erano orfani, senza famiglia.

Come è nata l’idea di questo libro?
Sono un appassionato di storia e mi ha sempre affascinato la figura del condottiero punico Annibale Barca con la sua visione fuori dagli schemi e la capacità di portare un esercito fin dentro il cuore della potenza romana. L’idea del romanzo però mi è venuta una notte d\’estate: stavo in casa da solo, e mi svegliai sentendo un suono lamentoso che veniva da bagno di casa mia. Era un rumore che fuoriusciva dal bidet. Come uno strano richiamo (forse era dell\’aria nelle tubature, ma quella notte non riuscii più a dormire.)
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non ho mai pensato di poter scrivere e per cinquant’anni ho solo letto (circa 30 libri all’anno) poi una decina di anni fa me n’è venuta voglia e ho cominciato. Questo è il quinto romanzo, e tra ricerche storiche, geografiche e altro, ci ho messo tre anni… È stato rifiutato da molte case editrici, poi per fortuna Jean Luc Bertoni lo ha accettato. L’editing è durato più o meno un anno.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Mi piacciono molto Joseph Conrad, Stephen King, Fred Vargas, Harlan Coben, Oriana Fallaci, Edgar Allan Poe, Camilleri, Sandrone Dazieri, Maurizio de Giovanni, Carlo Lucarelli,Elsa Morante, Jean-Christophe Grangé, Alicia Gimènez-Berlett,Henning Mankell, Elena Ferrante, Petros Markaris, Jean Claude Izzo, Marek Krajewski… e qui mi fermo, ma potrei continuare a lungo.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato e ho vissuto a Padova, poi a Trento. Sono cresciuto a Napoli e ho lavorato per 40 anni nei paesi intorno al Vesuvio. Ora vivo in Molise.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
L’anno prossimo dovrebbe uscire in libreria “La Morte nera” il seguito del teorema della spada, poi è pronto il terzo volume della serie: La Leggenda. Ho in programma anche la raccolta di racconti Vesuvio Felix e un romanzo storico quasi terminato.
Grazie mille!