Il Brevetto
Edito da Pixel Editore nel 2018 • Pagine: 177 •
Josef Stein ha sempre avuto il pallino delle invenzioni ed un giorno decide di presentare la sua scoperta all'ufficio brevetti. Giunto sul posto, in attesa di essere accolto, comincia a parlare con un uno strano tizio presente nella sala d'attesa. Quelle poche parole daranno il via alla narrazione di una storia che racconterà la vita di un bibliotecario dal carattere debole e succube di una donna autoritaria il quale un giorno, dopo il ritrovamento di un antico manoscritto, spinto dalla curiosità comincerà a tradurlo senza rendersi conto che in quel modo la sua vita cambierà per sempre.
Anche tutte le persone presenti nella sala d’attesa dell’ufficio brevetti si aggiungono a Josef nell’ascolto di quella storia e tutti rimarranno a bocca aperta quando, una volta terminata la narrazione, assisteranno all’ultimo colpo di scena.
Il sole ormai era quasi un ricordo. Quell’inverno, per la città di Monaco di Baviera, non era certo dei migliori. Ogni mattina un cielo coperto da grandi nuvole minacciose accoglieva il risveglio della città per poi accompagnarla nel prosieguo della giornata con un pioggia leggera e fredda che bagnava strade e prati fino a tarda sera.
Quella mattina Josef Stein era uscito di casa molto presto e con un pacco in mano. Voleva arrivare il più presto possibile in centro, dato che quello era l’unico modo per evitare lunghe ed estenuanti file davanti all’unico sportello dell’ufficio brevetti della città.
L’orario di apertura dell’ufficio andava dalle 8:30 fino alle 14:00, come ogni giorno, ed ormai Josef quell’orario se l’era ben memorizzato in testa. Troppe erano le volte in cui vi si era recato invano, e come lui anche una marea di altri strani tizi che riempivano ogni giorno quel piccolo salone d’attesa nella speranza di riuscire ad essere ascoltati dall’impiegato di turno.
In ognuno di loro una grande speranza albergava e cresceva nel cuore ed ogni momento veniva annaffiata da un delicato liquido color verde speranza. Si. La speranza che quello che avevano inventato fosse ritenuto utile per la società, ma in particolar modo speravano di riuscire a rinfrescare di fruscianti banconote il portafogli o magari il conto in banca.
In effetti quello era anche uno dei motivi che in fondo in fondo animava il cuore e la speranza di Josef. Anche lui aveva qualcosa da presentare al mondo, ed in cuor suo sperava che quello che aveva partorito la sua mente fosse utile.
Ci aveva lavorato per quasi cinque mesi, ma alla fine era riuscito nel suo intento. L’idea, che vagava solitaria tra le oscure valli del suo cervello era riuscita a materializzarsi, ed ora era pronta per essere presentata al mondo.
Josef aveva inventato una pressa. Una pressa simile a quelle che vengono utilizzate presso gli sfasciacarrozze. Si proprio quelle che riducono la tua vecchia automobile ad un unico e solo metro cubo di lamiere. Ebbene, quella di Josef era una particolare pressa per uso domestico di piccole dimensioni, utile per oggetti quali le bottiglie di plastica o lattine, che riduceva gli oggetti in piccoli cubi di pochi centimetri di lunghezza. Con questo risultato era certo che avrebbe ottenuto i ringraziamenti di tutte le casalinghe che si sarebbero ritrovate con molto più spazio a disposizione e senza l’esigenza di cambiare spesso il sacco dei rifiuti. Era un’idea geniale e di questo ne era convinto, ma era anche certo che sarebbe stata utile anche dal punto di vista economico; in particolar modo per le sue tasche.
Giunse davanti all’ufficio quando l’orologio del municipio segnava le nove in punto. Arrivato sulla soglia della porta d’entrata si fermò; prese un bel respiro e poi, con un bel sorriso stampato sul volto entrò all’interno. Seguì le indicazioni dei cartelli posti sulle pareti anche se ormai li conosceva a memoria, e cosi facendo, dopo aver percorso quasi un cinquecento metri di corridoi ed un centinaio di scalini, alla fine giunse nella stanza che cercava. “Ufficio brevetti” c’era scritto su una targhetta posta sulla destra della porta.
Varcò quella soglia ed in un istante si ritrovò immerso tra una folla di gente. La stanza era rettangolare. Sui due lati più lunghi c’erano due file di sedie messe lì proprio per far sedere le persone che aspettavano di essere chiamate. In fondo, sulla parete opposta a quella d’entrata, c’era lo sportello dell’ufficio. Dietro il vetro di quella porta si distingueva la figura di un uomo di media età che discuteva con una donna mentre allo stesso tempo agitava nervoso un paio di occhiali tra le mani. Sopra la porta, in alto, c’era un indicatore digitale. In quel momento il numero visualizzato era il 22. Josef si guardò intorno ancora per qualche istante e poi si mosse verso il distributore di numeri sulla destra. Raggiuntolo, allungò la mano destra e strappò il suo biglietto. 66. Era il sessantaseiesimo. Ne avrebbe avuto di tempo da aspettare per essere ascoltato, ma per fortuna la pazienza non gli mancava. L’unica cosa di cui era dispiaciuto era il fatto che la corsa che aveva fatto quella mattina per arrivare presto non era servita a niente.
Si voltò, osservò la situazione della stanza per qualche istante e poi, dopo aver individuato una sedia vuota, si incamminò per raggiungerla con in mano il tubo che conteneva il suo progetto. Si sedette senza guardare nessuno. Si chinò con la schiena e poi incominciò a rigirarsi il tubo tra le mani per passare il tempo. Ad un certo punto, stufo di quello che stava facendo, alzò lo sguardo e cominciò a fissare uno per uno i tizi presenti in sala. Li fissò tutti con attenzione, e al termine di quella panoramica, una banale considerazione gli nacque nel cervello. Tutti avevano in mano qualcosa: qualche piccola scatola ben chiusa e sigillata; un raccoglitore di disegni; teche gonfie di fogli molto ben strette al corpo. Molti non riuscivano a stare seduti in un posto e quindi continuavano a camminare avanti ed indietro senza dare segni di stanchezza. Un unico individuo si distingueva da quel gruppo di persone. Uno solo.
Corporatura robusta, alto, molto alto. Era seduto proprio alla sua destra. Josef rimase molto tempo a fissarlo fino a quando quest’ultimo, accortosi del suo interesse, lo costrinse a voltare lo sguardo in un’altra direzione. Il tipo, senza distogliere la sua attenzione da quello che stava fissando, aprì bocca e cominciò a parlare.
“Cerchi qualcosa?”, e detto quello si voltò.
Josef fu preso alla sprovvista, non a causa di quella domanda, piuttosto da quello che stava fissando in quel momento. Il volto dell’uomo. Fino a quell’istante non si era accorto di nulla poiché, essendo seduto alla sua sinistra, il campo visivo copriva solo quella parte, ma ora riusciva a vederlo tutto, e ciò che lo fece rimanere immobile ed assente per pochi attimi fu la benda nera che ricopriva l’occhio destro del volto dello sconosciuto.
“Ehi!… Ti senti bene?”, chiese l’uomo notando la strana reazione di Josef.
“Si… Si. Certo. Perché non dovrei sentirmi bene.”, rispose Josef svegliandosi da quella specie di stato di trance in cui era precipitato.
L’uomo non aggiunse ulteriori parole ma rispose con un’espressione che traspariva perplessità per quello che aveva appena udito. A parte quello, non disse più niente. Si voltò e tornò a pensare ai fatti propri mentre Josef lo stava ancora fissando. Solo in quel momento si accorse di un particolare che differenziava quel tizio da tutti quelli presenti in quella stanza. Non l’aveva notato prima, ma ora era chiarissimo.
Non aveva niente con se. Niente. Nessuna cartella, nessuna teca, nessun raccoglitore o scatola di sorta. Niente. La curiosità a quel punto cominciò ad insinuarsi, sempre più avida di conoscere, nel corpo di Josef, il quale aprì bocca e cominciò di nuovo a rivolgergli la parola.
In quel momento l’indicatore posto sopra lo sportello dell’ufficio cambiò: il 26 scomparve per cedere il passo al 27.
“Mi scusi…”, disse Josef con un tono di voce cauto e sommesso.
“Si… che c’è?”, disse l’altro voltandosi.
“Mi lasci presentare. Io sono Josef Stein. …”, disse abbozzando un ampio sorriso mentre nel frattempo gli porgeva la mano destra. L’altro porse la sua. Ci fu una breve e decisa stretta di mano ed al termine il tizio concluse quel breve rituale con un semplice: “Piacere.”. Detto quello si voltò e torno a navigare tra i suoi pensieri.
Josef rimase turbato di quel modo di fare. Non si era comportato in modo sgarbato, ma al tempo stesso c’era qualcosa in quel tipo che lo colpiva. Qualcosa che nessuno sarebbe stato capace di descrivere. Josef però non era tipo da scoraggiarsi, e quindi continuò a parlare. Aprì bocca e si rivolse a quello strano interlocutore con una confidenza tale che nessuna persona avrebbe mai immaginato concedere ad un’altra conosciuta da soli pochi minuti. Ma per Josef questo particolare non era importante.
“Senta,… mi scusi,… devo confidarle che durante l’attesa in questo posto affollato non ho potuto fare a meno di guardare ed osservare tutte le persone presenti, e mi lasci dire che lei in particolare mi ha colpito…”, a quel punto si interruppe. Capiva che forse parlando in quel modo il discorso poteva essere interpretato in modo ben diverso da come lui intendeva, e quindi cercò subito di chiarire quel punto.
“… non si faccia venire strane idee in testa. Lei ha suscitato la mia curiosità solo a causa di un particolare che la differenzia da tutte le persone presenti in questa sala…”, fece una breve pausa e poi riprese, “… si, lo so, devo ammettere inoltre che riconosco di essere una persona molto curiosa e forse invadente in certi casi, però, se non le dispiace, in questo momento vorrei poter soddisfare la mia curiosità cercando di dare una spiegazione a quello che ha percepito il mio intuito.”
L’uomo lo ascoltava senza proferir parola. Nessun cenno, nessun segno sul volto.
“Mi scusi, …”, continuò Josef cercando di scusarsi, “… se per caso la sto infastidendo me lo dica pure, io non mi offendo. Anzi, la capisco benissimo, forse anche io non gradirei che uno sconosciuto incominciasse a parlare con me in questo modo.”
L’uomo lo guardò, e poi con calma disse: “Non si preoccupi. Lei non dà fastidio.”
“La ringrazio…”, rispose rassicurato Josef. Aspettò qualche secondo e poi ricominciò a parlare senza timori, “… come le stavo dicendo, in lei c’è un qualche cosa, un particolare che la differenzia da tutte le persone presenti in questa stanza, me compreso. Ora, non so se mi posso permettere di farle questa domanda, però, dato che mi ha detto che non le reco fastidio,…”.
Si fermò e, fissando ancora la benda che gli copriva l’occhio destro, attese un paio di secondi prima di tornare a parlare.
“Come vede, qui ci sono persone che stringono tutte qualcosa in mano. Tutte ritengono di aver inventato qualcosa di nuovo ed utile e tutte sono qui con i progetti delle loro idee o delle loro invenzioni. Anche io in questo tubo di plastica conservo i progetti della mia scoperta. Ma lei… lei non ha nulla con sé! E questo mi incuriosisce. Molto… quindi, per favore, mi potrebbe dire qual’è la sua invenzione?”
Detto quello rimase in silenzio. Ora toccava al suo interlocutore aprire bocca e parlare, sempre che ne avesse avuto voglia. Nel frattempo diede un fuggitivo sguardo all’indicatore numerico posto sopra lo sportello dell’ufficio. In quel momento segnava il numero 28. Subito dopo tornò a focalizzare l’attenzione sull’uomo, il quale non si era nemmeno voltato a cercarlo con gli occhi. Era ancora lì, fermo nella sua posizione, senza accennare il benché minimo movimento. Rimase così per molto tempo e solo quando Josef stava per cominciare a pensare che non avrebbe mai risposto alla sua domanda si voltò, e cominciò a parlare.
“Non so se è mai stato in una biblioteca in vita sua,… però se le devo dare un suggerimento, in tutta sincerità glielo sconsiglio. E’ sempre la stessa storia. Ogni giorno …”

Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea è nata dalla scena finale che è stata inserita all’ultima pagina del romanzo. Si tratta di un colpo di scena a cui non si può rimanere indifferenti. Da quel punto ho sviluppato una trama che permettesse di arrivare fino a quel punto.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Non molto. L’idea base della trama era chiara in testa. Ogni tanto posso aver avuto delle difficoltà ma alla fine la stesura è proseguita in modo abbastanza regolare.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Principalmente Stephen King, Clive Barker, Dean Koonts, John Grisham.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Vivo a Roma dal 1994. In precedenza ho vissuto a Bolzano e poi per sette anni a Salerno.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Continuare a scrivere. Al momento ho già pronte le idee per tre nuovi romanzi le cui storie mi piacciono molto. Devo solo avere il tempo di fissare su carta le parole che ho in testa.