Edito da edizioni pietre vive nel 2020 • Pagine: 87 • Compra su Amazon
Un episodio vissuto nella fanciullezza di un’estate trascorsa nella casa dei nonni, a Erba, una caduta, una lacerazione al ginocchio, la sutura e la cura con un farmaco in dosi eccessive che provoca drammatici effetti collaterali, la convalescenza scossa dal riaprirsi rovinoso di una antichissima frattura in una casa vicina: tutto questo, non tanto trasfigurato nel ricordo, quanto piuttosto reso pulsante presenza, diviene un vero e proprio poema in nove sezioni (La Casa, La crepa, La fiducia, Il pericolo, La rabbia, La distruzione, La Crepa Madre, La cerca, Epilogo), composte – a eccezione della sesta, che ne ha sedici – di dodici stazioni di dodici versi ciascuna.
L’attenzione al ripetersi di numeri e quantità si ripercuote anche sulla misura dei versi, che alternano settenari e ottonari, mentre nella struttura ritmica l’oggetto stesso del dire sprona l’autore all’impiego del trocheo così come del giambo, del dattilo, così come dell’anapesto.
È un’attenzione alla misura che, unita a una scelta linguistica che ricorre intenzionalmente a forme arcaiche nel lessico, nell’ortografia e nella sintassi e, come è lecito aspettarsi da una cronaca in versi di fatti mirabili occorsi in varie epoche trascorse, alla scelta del passato remoto come tempo verbale, non sminuisce, bensì esalta la tensione narrativa e, con essa, il coinvolgimento di chi legge.
(dalla recensione di Anna Maria Curci, pubblicata il 24/3/2020 su Poetarum Silva)
I
LA CASA
L’abitazione di mia nonna paterna – nella quale, durante l’infanzia, trascorrevo il periodo estivo – era sita in un vecchio palazzo a due piani, nella cittadina di Erba, in provincia di Como.
Era collocato nella zona storica del paese; fra le antiche costruzioni, per lo più scalcinate, ne spiccavano alcune signorili e la sera, dalla strada, guardando le camere illuminate attraverso le finestre, si rivelavano soffitti finemente decorati, a differenza del nostro, in modeste travi imbiancate, che le infiltrazioni insozzavano al primo temporale.
La radio e la televisione di nonna persistevano nel loro ronzio valvolare, l’impianto elettrico difettoso galvanizzava anche la cucina a gas. I segni della modernità fra quelle mura.
Un’estate restò impressa nella mia memoria, per due avvenimenti straordinari: una domenica, al lago coi miei genitori, cadendo mentre inseguivo farfalle armato di canonico retino, un fondo di bottiglia nascosto fra l’erba mi squarciò il ginocchio destro. Il medico che mi prestò soccorso all’ospedale ebbe un eccesso di zelo nel dosaggio dell’antibiotico e l’intossicazione mi procurò violenti urti di vomito – subito dopo i pasti – fino a che un attento farmacista non si accorse dell’errore. Il secondo evento memorabile di quella estate mi cambiò l’esistenza: nei giorni di sofferenza causata dalle cure per il taglio, durante il pranzo, sentimmo un frastuono provenire dalla casa di fronte.
Ricordo distintamente il rumore di una frana; scrosci di pietre accompagnati da un rombo.
Io e mio padre andammo a vedere. Entrammo nella casa dei vicini (amici di famiglia, frequentati abitualmente) e trovammo uno squarcio tremendo nel muro: partiva dal primo piano e irrompeva di sotto, nella spaziosa sala da pranzo. Il vecchio della famiglia, seduto al tavolo con altri curiosi immediatamente accorsi, raccontava di altri episodi accaduti in passato.
Nella casa albergava una crepa viva.
Nella purezza dell’infanzia, quando i sensi non distorcono le immagini, notai l’analogia fra la ferita nel mio ginocchio e quella nel muro. Questa associazione, negli anni a seguire, divenne convinzione e certezza.
1
Le finestre lucevano
sui vicoletti bui.
Noi gli stucchi sbirciavamo,
meraviglie, dalla strada,
dentro i palazzi antichi
– le sontuose tavolate
patrizie e degli dèi,
i miti incorniciati
negli appesi lacunari –
ché avvezzi noi si era
ai nostri e più modesti
plebei soffitti bianchi.
2
I lunghi giorni piovosi
imbibiscono gli aloni,
sulle tempere vetuste,
di vive infiltrazioni.
Bimbo sempre m’avviavo
al solaio timoroso,
sopra soffici tappeti,
polverosi, secolari,
tele rapprese a strati;
s’ascendeva, con mio padre,
ricurvo sotto i tetti,
a racconciare i coppi.
3
Cose antiche, dal forno
alla tremula lucina:
irradia il fioco lume,
corron intrichi celati,
nelle mura, capillari,
come ragna, ma di rame.
Lì mia madre ben sovente
al fornello s’inchinava,
dalla scarica trafitta,
che la percorre infame,
voce gracida, frattanto,
dallo schermo valvolare.
4
L’infido vallo di vetro
ersero genti del lago,
i cocci celati nei prati,
muraglia contro la piaga:
è la locusta che sciama,
– tutt’oggi vien, da Milano –
cala, nel settimo giorno,
per saccheggiare Pusiano.
Lieto cacciavo farfalle:
ampio, m’aperse il coccio
il malaccetto regalo:
rosso il ghigno del ginocchio.
5
Dello speziale lo zelo,
i segni quelle giornate
pativo e datosi che
il «farmaco» fonde
nell’etimo il veleno
– l’erbe spesso s’iperdosa,
la sepsi temendo viva –
tanto prostrava la cura,
che rigettavo con l’ansia
i pasti addosso a mia madre;
slabbrata ferita gonfia,
aperta appare la smorfia.
Come è nata l’idea di questo libro?
L’idea risale a molti anni fa, quando scrissi un racconto nel quale una coppia in crisi, durante i lunghi silenzi che accompagnavano la cena, udiva un sommesso rodere, un ticchettio, del quale nessuno parlava all’altro. Dopo tempo, un rumore molto più udibile li fece scattare in piedi: una crepa nel muro della camera da letto aveva piagato il muro, dividendo idealmente in due il letto matrimoniale. Questo racconto non fu mai pubblicato, in quanto lo ritenni banale, ma l’idea fermentò. Nella mia fantasia, la crepa assunse caratteristiche “viventi”: atteggiamenti assimilabili a quelli di un animale domestico. Dopo anni, quando mi sentii pronto per narrare la vicenda della crepa (divenuta, nella mia immaginazione, la protagonista) la mia passione per la poesia ebbe il sopravvento. Optai, allora, per la forma del poema: il racconto richiedeva “spazio” e la lunghezza della composizione è stata una scelta obbligata.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La scrittura è stata molto impegnativa e si è protratta per più di tre anni, con diverse revisioni. Il problema principale è stato quello di mantenere sia lo svolgersi della narrazione, che la musicalità del testo.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
I miei poeti di riferimento sono Montale, Luzi e Borges.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato a Milano nel giugno del 1969. Nel 1977 mi sono trasferito con i miei genitori in provincia di Como. Ora vivo a Sirtori, in provincia di Lecco.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
I miei progetti per il futuro sono attualmente avvolti nella nebbia. Con i libri Wunderkammer (Pietre Vive, 2016) e La Crepa Madre (Pietre Vive, 2020), sento di aver spremuto fino in fondo la mia poetica. Ho bisogno di una pausa necessaria a sperimentare e trovare nuovi sentieri espressivi.
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