
Edito da Edizioni Limitanti nel 2020 • Pagine: 165 • Compra su Amazon
Un giornalista sportivo. Quattro poeti.
Un’intervista.
Cinque punti di vista.
Forse Marketing. Magari una scommessa.
Oppure coincidenze.
Tutti se lo chiedono. Nessuno lo sa.
Eppure la poesia è tornata di moda. Non solo.
Adesso è diventata social.
Come finirà ciò che non è mai cominciato?

Nato a Roma, vivo a Roma e ho sempre vissuto a Roma dove la mia numerosa famiglia popola la città da più di quattro generazioni.
Per tutti questi motivi sono della Lazio. Da sempre.
Da prima che avessi memoria. Non c’è membro della famiglia Alaleschi che sia romanista o di altre tifoserie.
Sono il classico italiano medio. Niente di più e niente di meno.
Ho un lavoro tanto per lavorare, leggo con moderatezza senza strafare, non ho nessuna preferenza politica e sto bene così come sto. Due mesi di vacanza all’anno, mutuo e macchina in bolletta.
Non mi lamento della mia situazione e nemmeno cerco di migliorarla. Sono stazionario e non amo i cambiamenti.
Pago le mie bollette, seguo il flusso e, almeno negli intenti, cerco di inquinare il meno possibile.
Non ho figli, vivo da solo con due gatti, non sono bravo a cucinare ma adoro mangiare. Per questo vivo in un buco senza cucina e quello che guadagno lo spendo in ristoranti quando non mangio da mamma.
Non sono mai stato bravo a fare niente. Manualità zero.
Persino nello sport, che è l’unica cosa che amo, sono sempre stato una pippa. Faccio il giornalista per ovvie ragioni, almeno a parole non posso sbagliare.
Da quando, poi, il parlamento sancì per legge che il campionato di calcio si sarebbe dovuto giocare ogni giorno, adeguandosi alle normative dell’unione Russopea, la richiesta di giornalisti e commentatori sportivi schizzò letteralmente alle stelle. Rendendolo così un lavoro banale, sottopagato e sfruttato che chiunque avrebbe potuto fare.
Infatti lo faceva chiunque avesse l’abilità di copiare ed incollare
contenuti racimolati a destra e a sinistra.
Tutto iniziò proprio il giorno in cui sembrava non dovesse accadere nulla.
Ero seduto sulla sedia nella redazione del quotidiano nazionale dal nome vergognoso per il quale lavoravo da quasi undici anni, ‘Link libero’
Stessa gente, stessa scrivania, stessa disposizione dei mobili e stesse mansioni da undici anni.
Quattro articoli di taglio basso al mese, quelle che in gergo vengono chiamate civette, meno di trecento parole al mese praticamente. Per il resto del tempo scrivo quintali e quintali di pagine per gli speaker televisivi.
Commenti, statistiche, aneddoti sportivi, notizie estere, curiosità, gossip sportivo, scommesse, approfondimenti, previsioni, analisi campionato, compilazione schede di gara e classifiche di qualsiasi tipologia di sport esistente.
Un lavoro che rispetto a trent’anni fa, grazie all’istantaneità delle ricerche su internet, si è semplificato di molto.
Stavo guardando i turni della nuova settimana, ormai prossimo alla pausa pranzo, quando Erika, piccola e scattante segretaria abruzzese, sbucò dall’angolo cieco facendomi prendere un colpo.
“Fu’, vedi che ti vuole vedere” disse lei indicando la porta del capo.
“sicura che voglia me” le chiesi sottovoce non volendo che nessuno ci sentisse.
“si a te” rispose lei frettolosamente “e muoviti che odia aspettare”
Non feci in tempo a ricordare le poche volte che varcai l’anonima soglia di quella porta che ero già dentro. Erika mi seguì. Provai la stessa sensazione che si prova entrando nelle chiese scarnificate dei paeselli piccoli e sperduti, angoscia.
“siediti” mi ordinò mentre lui era già in pausa pranzo. C’era odore di pollo cinese ovunque.
“non ho molto tempo” disse addentando un’ala con tutti i denti che possedeva “quindi andrò subito al sodo”
Era un uomo goffo, basso e senza collo.
Finita la testa, invece del collo gli partiva direttamente la pancia fino alla vite dove due esili gambe sembravano essere state impiantate, per errore, nel corpo sbagliato durante un trapianto.
Pochi sono quelli che lo hanno visto in piedi.
“i vertici” continuò a parlare mangiando “mi stanno facendo un sacco di pressioni su Jerry..”
“su chi?” chiesi timidamente approfittando della sua pausa masticazione
“come chi? Lucas, Marco, Tomas…come si chiama” più sparava nomi da una lista casuale più non capivo di cosa mi stesse parlando e soprattutto perché. Poi la voce di Erika risuonò dal fondo della stanza “George. Si chiama George”
“Esatto” esultò lui con la bocca sporca su entrambi i lati come se avesse vinto una cartella del bingo “non sai quante pressioni, telefonate, proposte, appuntamenti e appostamenti abbiamo fatto per lui”
Mi parlava come se mi avesse sempre parlato. Come se due amici stessero parlando di lavoro bevendo birra e mangiando patatine fritte in un bar alla periferia della città. Solo che io non mangiavo.
“…non vogliono un articolo di giornale, non vogliono un’intervista frontale, non piace l’idea di una storia fotografica con uno speach fuori campo, tutte le rubriche del giornale sono completamente fuori discussione e non vogliono fare neanche una comparsata televisiva in una delle nostre trasmissioni sponsor…”
Non capivo cosa centrassi io fino a quando non mi sentii chiamato in causa “per questo Fulvio mi servi tu” disse prima di finire il pollo con tutto il piatto. Avevo capito poco e male quello di cui stava parlando. Sapevo della vicenda del ragazzo poeta, ma non riuscivo a fare nessun collegamento tra lui e me.
“in che senso” chiesi rimanendo sul vago
“perché sei l’unico qui dentro capace di consegnarmi in un mese un lavoro da sei.”
Non sapevo se essere lusingato o sfruttato.
Sorvolai sulla questione perché ancora avevo dubbi “non ho ben capito di quale lavoro si tratterebbe” dissi sempre moderando voce e modi.
“niente di che” rispose accartocciando la confezione di quello che era un involtino primavera “devi intervistare 3 poeti più Mark è l’unica…”
“George” gridò di nuovo Erika potendosi permettere di gridare con il capo.
“l’unica proposta” continuò lui “che i vertici in combutta con le agenzie di spettacolo hanno accettato. E quella proposta è stata la tua”
Avvenne tutto così velocemente che non sapevo da quale domanda iniziare. Poeti. Intervista. Proposta. Io.
Troppe parole dal senso opposto nella stessa frase.
“ma io non ho fatto nessuna proposta?” dissi un po meno pacatamente “ci dev’essere stato per forza un errore perché non avrei mai potuto partecipare ad una cosa simile. Non ne sapevo niente. Perché mai avrei dovuto cimentarmi in un’intervista di poesia? perché?”
“Non c’è stato nessun errore Fulvio. L’ho fatta io la proposta per te. O meglio a nome tuo. Sai come sono i vertici, vogliono sempre qualcosa di nuovo da qualcuno di nuovo. Così io ho fatto una proposta idiota, loro l’hanno gradita e adesso tu la realizzi. Niente di più semplice”
Senza aggiungere nient’altro come se fosse una situazione del tutto ordinaria e lecita, dal tavolo, vicino gli incarti di cibo ancora caldi, prese una busta sigillata.
“qui dentro” disse indicando l’incarto “c’è tutto l’occorrente che ti serve e soldi in contanti per i viaggi”
“i viaggi?” aggiunsi sempre più allibito
“tutte le informazioni che ti servono sono qui dentro Fulvio”
“ma capo” dissi cercando di ribadire un concetto molto semplice “io non ci capisco niente di poesia. ‘M’illumino d’immenso’ è l’unica cosa poesia che conosco e neanche l’ho capita” feci una pausa cercando di essere più chiaro “E poi non voglio un nuovo carico di lavoro”
“Non sei nella posizione di scegliere Fulvio. L’unica cosa che puoi fare è alzarti e uscire da quella porta lasciando me e Erika a bocca aperta, ma non credo che tu abbia il coraggio di farlo” fu freddo, diretto e deciso come un treno in Svizzera, però aveva maledettamente ragione, non avrei mai avuto il coraggio di farlo.
“non m’interessa” continuò dando uno sguardo veloce all’orologio come a dire che il mio tempo era ormai scaduto “se ami la poesia o meno Fulvio. E poi fidati che nessuno ci farà caso. Nessuno fa caso a niente in questo paese, figurati se si dovessero preoccupare di quello che scrivi tu. Prendi questa busta e non tornare fino a quando non avrai finito il lavoro”
Il leggero tonfo della busta che scivolò sulla scrivania fu l’unico suono che echeggiò nella stanza. Rimasi di stucco. Senza parole. Non sapevo se avessi dovuto dire qualcosa o meno.
Capii che la mia presenza era superflua. Il suo intervento era finito e non c’era niente più da aggiungere, prendere o lasciare. Parlare o tacere. Soccombere o reagire.
Abbassai la testa in segno di sconfitta e presi la busta. Salutai Erika con un cenno e me ne tornai a posto proprio mentre la redazione si stava svuotando per la pausa pranzo. Avevo fame, ma me ne rimasi solo sulla sedia. Sospirai rassegnato e tolsi il sigillo alla busta.

Come è nata l’idea di questo libro?
Non essendo un poeta pur amando la poesia, alcune volte anche più della letteratura, ho sempre voluto scrivere un libro nel quale la poesia centrasse qualcosa. Non un raccolta di poesia, non un saggio sulla poesia, ma un libro sui poeti. Sull’essere poeta in questo secolo. Come tale, il libro è una piccola raccolta di punti di vista, impressioni ed esperienze differenti sulla poesia di oggi, con l’intento e i toni di chi cerca di mettere in relazione con la Tradizione ciò che tradizionale non è. Il libro inizialmente avrebbe dovuto contenere delle vere interviste, ma nessuno delle persone contattate è sembrato interessato al mio progetto, così non ho potuto fare a meno di scriverlo da solo. E l’ho fatto. Diciamo che l’esigenza di scrivere è stata superiore alle delusioni ricevute.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Poco e niente. Un mese per vomitarlo e un altro mese per correggerlo e organizzarlo. Ha una struttura abbastanza semplice, quasi elementare. La trama è lineare come il tempo di narrazione, i personaggi e il linguaggio al limite della confidenzialità lo rendono un libro essenziale e genuino. Personalmente ho molta più difficoltà con le fasi promozionali dei libri piuttosto che con le fasi di stesura o correzione.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Sinceramente non saprei come rispondere a questa domanda perché mi nutro di qualsiasi cosa stimoli i miei interessi o la mia curiosità. Molto dipende anche dagli stadi d’animo o dalle esigenze del momento. Sono un lettore vorace e molto estroverso che segue un semplice ideale: ogni libro è un punto di riferimento perché i libri sono un punto di riferimento. Almeno il mio.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nato in Svizzera, cresciuto in Puglia, vissuto a Roma e poi emigrato a Londra dove tutt’ora risiedo.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Scrivere, scrivere, scrivere, scrivere, scrivere, scrivere, scrivere, scrivere e scrivere fino a quando sarà quello in cui credo.