Favola di una falena di Alessio Del Debbio è un romanzo, pubblicato a gennaio 2016 da Panesi edizioni, che segue le vicende di un gruppo di amici dopo la fine delle scuole superiori. Pur essendo ambientato dopo gli eventi di Anime contro e Oltre le nuvole, anche il nuovo romanzo di Alessio Del Debbio può essere letto indipendentemente dai precedenti; ecco la trama di Favola di una falena e un estratto, in fondo i lettori potranno trovare il link alla scheda completa del volume su Amazon.
Favola di una falena, la trama del romanzo di Alessio Del Debbio
Favola di una falena segue le avventure di un gruppo di amici di Viareggio subito dopo la fine delle superiori, un momento di passaggio, tra la fine dell’adolescenza e l’inizio dell’età adulta. È il tempo delle grandi scelte, universitarie o lavorative, il tempo delle decisioni, spesso non facili, che determineranno gli uomini di domani. È il tempo anche delle incertezze, dei passi avanti e indietro, dei ripensamenti. È accaduto a molti, succede anche a Veronica, a Jonathan e ai loro amici in un romanzo che vuole essere un viaggio dentro se stessi, alla continua ricerca e scoperta di ciò che proviamo, e di chi vogliamo essere.
Favola di una falena, un estratto dal romanzo
Jonathan le aveva insegnato come entrare di nascosto ma lei si era sempre rifiutata di farlo. Eppure in quel momento, mentre, nascosta dietro un cassonetto, in bilico su una sedia scassata, cercava di scavalcare il muro del cimitero, ringraziò l’amico per uno dei suoi tanti trucchetti, come quando in terza media le passava i temi pronti che nascondeva sotto la maglietta. Come se lei avesse bisogno di riassunti o bignami per dare libero sfogo alla penna. Ma apprezzava i suoi tentativi, la sincerità con cui le aveva sempre ricordato di essere amici e, come tali, uniti. Quante altre anime avevano lo stesso privilegio di sapere di avere sempre una casa dove tornare, qualcuno a cui unirsi e che le avrebbe completate, fondendosi in una sola melodia?
Francesca se l’era chiesto spesso e la sua convinzione non aveva mai vacillato. Neppure quel pomeriggio, quando Jonathan l’aveva accusata di non aver avuto fiducia in lei, un sentimento niente più lontano dalla verità.
Tu lo sai bene, disse, sedendosi sul terreno ghiaioso. Sai quanto siamo legati. “Tuo fratello”, lo chiamavi. “Chi?”, rispondevo io, facendo finta di nulla, ingenua come soltanto una quindicenne poteva essere. “Jonathan”, chiarivi. E arrossivo, prima che tu mi baciassi, dicendomi quanto eri felice per non esserlo. In effetti è così, siamo fratelli, e i fratelli a volte si prendono, litigano e urlano, ma tornano sempre a casa. Anche tu e Marco, all’epoca, avete avuto le vostre divergenze, per quanto fossero sciocchezze. Lo so bene, Marco ti amava, quanto ti amavo io.
L’ho visto, sai? Qualche giorno a fa, a mensa. È cresciuto e ha i capelli più lunghi. Ti somiglia, ovviamente, anche se… Francesca esitò, facendosi forza. Era quasi un anno ormai che si recava a fargli visita, da quando era riuscita ad accettare la sua scomparsa. Da quando Jonathan l’aveva spinta a mettersi in gioco e a riprendere il controllo di sé. Tu eri la solarità, la spensieratezza, la luce della mia vita. E Marco… lui è l’ombra. So che non vorresti sentirlo, ma temo che non se ne sia ancora fatto una ragione. E come potrebbe? Perdere un fratello distruggerebbe chiunque. Anche a me è successo, so cosa prova, ma io ho avuto Jonathan. Io ho Jonathan. Tuo fratello invece è solo. Ho provato a invitarlo a un’uscita con i miei amici, ma non ho avuto risposta. Lo sai com’è. Ognuno ha i suoi tempi e i suoi modi per elaborare il lutto e non è giusto interferire. A volte penso che avrei potuto finire così anch’io, a vagare da sola in un mondo che sembra sempre più distante e freddo. Dio, vorrei poter fare di più per lui e lo farò, credimi, se ne avrò l’occasione! Si asciugò le lacrime e sfiorò la lapide di marmo bianco, carezzando il volto nella cornice d’argento. Il volto che continuava a non invecchiare, rimanendo così, come lo avrebbe ricordato, anche quando sarebbe divenuta donna e avrebbe girato per le riserve indiane d’America, come avevano progettato di fare anni addietro. Vivere in una tenda, sulle rive di un fiume, coltivare il proprio orto e abbeverarsi della natura. Era stato il loro sogno selvaggio per un po’, che avevano provato a realizzare nel campo dietro casa di Frà. Era durato due giorni, prima che un nubifragio abbattesse la loro capanna e facesse passare a entrambi la voglia di giocare ai nativi. Ma l’odore di quei giorni di pioggia, e di tutti i loro progetti, non se ne era mai andato e a volte Frà credeva di sentirlo ancora sulla sua pelle.
Si alzò e diede le spalle alla tomba, avviandosi verso il muro di confine. A pochi passi da lei, seduta sui gradini di una cappella gentilizia, una bambina di marmo fissava il vuoto, la testa poggiata stanca sul braccio sinistro, i capelli pettinati con cura e avvolti in un nastro, l’altro braccio che stringeva una ghirlanda di fiori. La statua più celebre del cimitero di Viareggio. La bimba che aspetta la madre che non tornerà più.
L’aveva sempre colpita quella posa malinconica, ma non disperata, quel senso di attesa solenne, di implacabile e meravigliosa sensazione che permette agli esseri umani di non desistere mai dalla loro fede. Ecco, lei si sentiva come quella bimba, come la bimba che era stata quando sapeva amare, come la bimba piena di sogni che vedeva un futuro per sé. E per colui che amava. Cos’era rimasto di quella bambina? Era cresciuta o era ancora lì, sui gelidi gradini di una vita che nel frattempo era andata avanti, incapace di tenere il passo, incapace di comprendere dove l’avrebbe condotta? Deglutendo a fatica, Francesca carezzò il capo della bimba di marmo, prima di andarsene. Dal cimitero, dai ricordi, dall’ombra del passato. Incerta se sarebbe mai riuscita a farlo davvero.
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