Las Vegas la splendida
Edito da Mike Carpenter nel 2018 • Pagine: 175 •
Las Vegas attira 43 milioni di visitatori ogni anno, provenienti da ogni parte del mondo. Vengono per partecipare a fiere e convegni, per giocare d'azzardo, per cenare in alcuni dei migliori ristoranti del Paese, per prendere il sole a bordo piscina, qualche volta perfino per sposarsi. Quasi sempre alloggiano presso uno dei giganteschi mega-resort sorti su ambedue i lati di Las Vegas Boulevard South, il viale universalmente noto come Strip. Questo è un breve racconto di come e quando quei colossi di vetro e cemento sono stati realizzati e delle vite avventurose degli uomini che hanno osato sognare in grande.

«Si può discutere su chi ha dato il via allo Strip di Las Vegas, ma non esistono dubbi sul fatto che sia stato Jay Sarno a cambiarlo per sempre» (cit. da Las Vegas Review Journal, 1999, uno dei due quotidiani della città).
È veramente impossibile sovrastimare l’impatto che quest’uomo cicciottello e tracimante energia ha avuto sulla storia dello Strip. All’epoca, nella prima metà degli anni ’60, gli hotel-casinò costruiti dalla malavita – che tanta parte avevano avuto nel creare il mito di Las Vegas – erano vecchiotti e non più in grado di far sognare. I loro temi (il Far West, l’Arabia, il Marocco, i tropici, la Costa Azzurra, lo spazio) erano eseguiti in maniera superficiale e poco coinvolgente. Non solo: per la prima volta nella storia, l’immensa classe media americana cominciava a disporre di denaro non indispensabile per la vita quotidiana e pertanto disponibile per spese voluttuarie, che gli americani chiamano discretionary spending. Ricordo che – nei due decenni precedenti – i casinò dello Strip erano frequentati per lo più da gente dalle ampie possibilità economiche, che amava presentarsi in abito da sera nei vari ristoranti e club. Qualunque giocatore di mezzi limitati era immediatamente etichettato come vizioso e irresponsabile.
Ma ora siamo agli inizi della rivoluzione culturale che passerà alla storia come il ’68 e ogni cosa sta per cambiare. Andy Warhol sta cominciando a mostrare agli americani e al mondo un modo diverso di guardare alla realtà. Nel 1962 aveva esposto a New York la sua “Marilyn Diptych”, considerata da numerosi critici una delle dieci opere più importanti dell’arte moderna. I Beatles stanno cambiando la storia della musica pop.
È in questo contesto che irrompe Jay Sarno. Nato nel 1922 da genitori di scarsi mezzi, che però riuscirono a mandarlo all’università a studiare Economia, proprio all’Università del Missouri incontrò Stanley Mallin, che diventò il suo più grande amico, nonché socio in affari per la vita. Ambedue combatterono nel teatro del Pacifico durante la seconda guerra mondiale, per poi mettersi in affari insieme a guerra finita. Dopo un periodo come venditori e installatori di piastrelle a Miami e un altro come imprenditori edili ad Atlanta, i due si riciclarono nel settore dei motel. Sarno aveva una certa (limitata) esperienza nel campo, grazie ad alcune estati trascorse – durante gli anni giovanili – a dare una mano a suo fratello, che possedeva un piccolo albergo. Il primo Cabana Motel sorse ad Atlanta ed ebbe un successo tale da permettere a Sarno e Mallin di espandere l’attività, aprendone un secondo a Dallas e un terzo a Palo Alto. Ma Sarno, che – da gambler appassionato – si fermava spesso a Vegas a giocare d’azzardo, aveva capito che avrebbe potuto guadagnare molto di più con un solo hotel-casinò che con un’intera catena di motel. Nel 1961 decise che quella sarebbe stata la sua strada.
Nel 1962 ebbe luogo l’incontro che cambierà per sempre la vita di Sarno e, in prospettiva, il futuro dello Strip. Fu allora che Sarno e Mallin fecero conoscenza con Jimmy Hoffa, il potentissimo capo del “International Brotherhood of Teamsters” (più brevemente “Teamsters”), nome alquanto altisonante scelto dal sindacato dei lavoratori che rappresentava autisti, fattorini, magazzinieri e altri lavoratori privi di particolari qualifiche. Il potere di Hoffa, che guiderà il sindacato dal 1958 al 1971, derivava dal denaro accumulato nel fondo pensioni dei lavoratori rappresentati, che Hoffa gestiva praticamente a suo piacimento. Uno dei suoi investimenti preferiti era erogare crediti agli imprenditori intenzionati ad aprire dei casinò a Las Vegas, compresi quelli dalle amicizie discutibili. Nessuna banca, in quegli anni, era disposta a finanziare la costruzione di hotel-casinò e Hoffa diventò – di fatto – l’uomo al quale tutti gli operatori interessati a una fetta dell’azione di Las Vegas erano costretti a rivolgersi. Sarno questo lo sapeva bene ed è quindi a Hoffa che si rivolse per finanziare il suo sogno.
Hoffa prese immediatamente in simpatia Sarno: i due uomini erano fatti della stessa pasta. Ma, da abile uomo d’affari, pretese che Sarno e Mallin – privi di qualsivoglia esperienza nel campo dei casinò – si ripresentassero da lui soltanto se fossero stati in grado di coinvolgere nel loro progetto un socio dalle spalle più larghe delle loro, finanziariamente parlando. Fu così che Sarno e Mallin convinsero Nathan Jacobson, un conoscente di Sarno che era già diventato ricco di suo nel campo delle assicurazioni, ad entrare nell’impresa e – verso la fine del 1962 – ebbero accesso ai fondi di Hoffa.
Sarno, da par suo, aveva in mente un progetto grandioso, in grado di schiacciare qualunque concorrenza allora attiva sullo Strip. La mediocrità non gli si addiceva davvero. Il suo obiettivo dichiarato era quello di creare un vero e proprio palazzo dei lussi e dei piaceri, dove tutti i clienti potessero sentirsi imperatori per un giorno o due. Il nome Caesars Palace (“palazzo dei Cesari”) nacque così, come lui stesso spiegherà in seguito: non il palazzo di Cesare (che avrebbe necessitato dell’inserimento dell’apostrofo prima della s, cioè Caesar’s Palace), bensì il palazzo dei Cesari, perché chiunque doveva – per l’appunto – sentirsi Cesare (o Cleopatra). Pretese quindi dal suo architetto, Jo Harris (una donna), un profluvio di statue, colonne, capitelli, busti e fontane, affinché sullo Strip potesse nascere una raffigurazione – più o meno fedele –di come Sarno e gli americani si immaginavano l’antica Roma. Il Caesars Palace divenne con ciò il primo esempio di entertainment architecture, cioè un’architettura studiata per stupire e per coinvolgere il visitatore in un’esperienza visiva nuova e certamente più intensa del normale. Non era più solo il contenuto a dover divertire e intrattenere (casinò e spettacoli), bensì lo stesso contenitore, quindi l’edificio con la sua architettura. Accedere al Caesars Palace significava entrare in una dimensione diversa, lasciandosi la quotidianità alle spalle. Il futuro dello Strip era segnato.

Come è nata l’idea di questo libro?
Questo libro nasce diversi anni fa, quando frequentavo uno dei primi e più attivi forum italiani sul gioco del poker sportivo. Visto che sono sempre stato affascinato da Las Vegas, cosiddetta “città del peccato” (Sin City), a un certo punto ho deciso di fare un regalo agli amici del forum, mettendo a frutto le mie estese conoscenze sempre aggiornate sulla città per pubblicare una lunga serie di post che raccontassero la sua storia. In vista della pubblicazione di questo libro, quei post sono stati nel frattempo rimossi.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
È stato abbastanza complicato, anche perché il progetto è cresciuto nel tempo. Inizialmente mi sono detto: ho il materiale pronto, mi basta sfruttare le possibilità messe a disposizione da Amazon KDP e in pochi giorni avrò il libro online. Mica vero! Intanto, appena ho messo mano al testo mi sono reso conto che necessitava di molte migliorie: editing, aggiornamenti rispetto a quando l’avevo scritto per includere l’attualità, e del lavoro aggiuntivo per tramutare una serie di post in una narrazione coerente degna di un piccolo saggio storico, quale il libro è (il genere andrebbe definito narrative nonfiction). Poi, mentre ci lavoravo, mi è venuta l’idea di tradurlo sia in inglese che in tedesco, lingue che fortunatamente sono in grado di dominare per un testo tutto sommato semplice come questo. Per cui i tempi si sono allungati a dismisura, e la mole di lavoro pure. Ho pubblicato per prima la versione inglese, esattamente un anno fa, per far apparire ai lettori americani che l’originale fosse quello, con successive traduzioni in italiano e tedesco. Comunque, il libro è acquistabile in tre lingue, nelle due versioni (carta e ebook).
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
In realtà, questo è un progetto estemporaneo. I miei veri interessi sono di tutt’altro genere: leggo in massima parte autori di saggistica filosofica, teologica e storica, quest’ultima in massima parte riguardante la seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda la narrativa, non saprei indicare autori di riferimento. Anche perché ne leggo pochissima e resto quasi sempre deluso da quello che leggo. Fatico molto a trovare spunti davvero interessanti e originali, anche presso gli autori più acclamati.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Milano è la mia città, dove sono cresciuto e dove sono rimasto fino ai 28 anni. Poi ho vissuto per oltre un decennio a Roma e ora sono nuovamente in Lombardia, in un piccolo centro.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Il progetto Las Vegas è stato più che altro un gioco, ma ora mi piacerebbe arrivare a pubblicare con una vera casa editrice. Ho già diverse idee nel cassetto e attualmente sto lavorando al mio primo romanzo, di cui non svelerò nulla!