
Edito da Lupieditore nel 2021 Compra su Amazon
“Il Mondo Perduto” è, un romanzo psicologico; i didascalici temi filosofici, diventano progressivamente più consueti. Alla stregua di un abile pittore, l’autore descrive veristicamente i natii ambienti in cui l’asperger Antonio rivive le emozioni rimosse; incontrando i suoi esigui reali rinominati paesani sovente estinti, Mastrodomenico spazia sia nel tedioso presente che in quel radioso passato nel quale entrambi questi asperger si immergono unificandosi. Scandite dal tranquillo trascorrere delle ore di una delle ripetitive giornate castresi, le vicende di tale protagonista quasi depresso si svolgono fra luci e ombre. Principalmente nei sogni in cui egli né pensa né parla, Antonio assapora la gioiosità delle popolate contrade del borgo medioevale; annunciata anche dai profumi momentaneamente assenti o dagli inanimati avanzanti elementi, essa svanisce nel silenzioso paesino odierno tanto caro quanto ostile. Soltanto un intermedio ingenuo autistico che corre attraversando le abbandonate campagne, prospicienti Castrovalva, può arrivare a quella destinazione che esiste unicamente nel preconscio dell’asperger dotato di intelligenza straordinaria.
In questa rappresentazione particolareggiata dei propri luoghi nativi, Mastrodomenico rinuncia né ai suoi toni autoironici né al suo umorismo eccezionale; la velata drammaticità, non permea l’avvincente viaggio nel mondo perduto.Questo è, l’originale schema sintattico di Federico Mastrodomenico: consequenziali parole sospese solo dalla virgola che precede il termine riferibile a un inconfondibile vocabolo presente nella prima parte della frase, sezioni di periodo indicanti un soggetto, porzioni modali, proposizioni loco-temporali, incisi metaforici, due punti introducenti sia espressioni esplicative che elenchi, virgolette racchiudenti discorsi indiretti, corsivo atto ai dialoghi pensati.
Consapevole sia delle sue potenzialità che dei suoi problemi, Mastrodomenico immagina “Il Mondo Perduto” e si prefigge di esporre ulteriormente la sua approfondita conoscenza pressoché unica della sindrome di Asperger. Nel giugno 2013, il valido scrittore inizia a stendere questo romanzo immediatamente successivo a “I Colori dell’Esistenza”. Il recentemente accertato asperger di Federico basantesi finora sulla geniale autodiagnosi, completa la triade che include pure “Essere Sé Stesso”; nel 2016, egli termina il suo quinto grande libro. Nel dicembre 2017, il quarantottenne autore si propone di distinguersi grammaticalmente anche dal protagonista e comincia la solitaria revisione matematica di “Il Mondo Perduto” per la cui bozza occorsero otto mesi.

‒ Qui, quanti corvidi ci sono? ‒ borbottò l’interrogantesi giovane i cui alzantisi occhi erano velati dalle cornacchie, scese dagli arbusti delimitanti pure superiormente l’ampio trapezoidale campo adatto alla produzione del foraggio. In ordine sparso, i pennuti svolazzavano calamitando l’attenzione dell’unico roteante spettatore; inseguendo il proprio simile digià avviatosi, essi ripetevano un roco crescente richiamo corale echeggiato dalle facciate assolate delle abitazioni frontalmente poste. Prima che il progressivamente ricompattatosi stormo cozzasse infissi sorveglianti incolte tenute antistanti a essi, le piumate ali nere divennero istantaneamente non parallele; divisosi in due grosse scie opposte, esso rasentava case poggianti sulle rocce perpendicolari alla sottostante asfaltata strada provinciale. Biecamente onnivori, i volatili si riallinearono fissando gli abbandonati vigneti privi della matura nutriente uva.
‒ Stanno tornando! ‒ esclamò l’ansimante Antonio, allontanandosi speditamente dalla presumibile zona in cui gli appropinquantisi corvi sarebbero atterrati; insolitamente silenziosi, essi volteggiavano nell’aere che separava il dominante “monte San Michele” e le folte macchie attigue all’incavante ruscello. Questa breve inizialmente rassicurante distanza sembrava crescere, in maniera direttamente proporzionale all’umana accelerante andatura; minacciosamente estesasi, l’intermittente sibilante ombra cominciò a sfiorare le graminacee inodori inverdenti l’ampia triangolare ripidamente calante terra ubicata a sinistra del giovane. In pochissimo tempo, egli percorse il tratto della mulattiera oscurato ormai da codesti arrivati uccelli e sormontante tale or tetro appezzamento. Pareva che essi volessero assalire lo spaventato circa corrente disturbatore. Procedendo parallelamente alle inclinate non intralcianti tenute, uno per volta, i pennuti planarono sulle sterpaglie mosse ancora dal vento prodotto dall’indistinto recentissimo frusciante decollo.
Le fronde di due alberi si erano intrecciate formando un arcuato ingresso della proteggente galleria che sospendeva la comoda soleggiata stradina; non accorgendosi delle cornacchie che stavano finendo di adombrare tanto l’erba medica quanto questa soglia appartenente al largo sentiero erboso, Ranieri vi si introdusse sollecitamente. Le antropiche ristrette pupille, però, si dilatarono senza intravedere la digradante prosecuzione della via finora piana. Un liscio penzolante ramo colpì la fronte del visitatore intento solo a fuggire da paure inconsce; favorito dagli sporadici attraversamenti umani, esso si era obliquamente allungato. Codesto urto veniva attutito dall’energia cinetica di lui, dispersa da tal ramo flessibile. Pestati alcuni metri di aromatiche crepitanti frasche, colmanti i profondi solchi cingenti tondi sporgenti sassi, lo svenente ventenne cadde e il suo cranio batté debolmente in un ciottolo di quest’ambiente semibuio.
‒ Da anni, ti aspettavo! ‒ urlò un’affabile voce maschile fusasi con gli scalpiccianti zoccoli di un quadrupede veloce, ugualmente or non visto; la testa nera di un asino, appariva alle castane iridi del ragazzo rasentanti i fradici fini lastricanti ceppi sui quali poggiava l’umana tempia destra. Precedendo la comparsa dell’intero ascendente animale, il giovane continuò rapidamente ad alzarsi; la sagoma di Biagio Ranieri, si mostrava rincorrendo l’inarrestabile ciuco.
Sulle labbra del ventenne sia incredulo che turbato, si leggeva questa parola: nonno. Per evitare un ulteriore rimprovero dell’estinto familiare calcante la porzione di sentiero occupata pocanzi dalle adolescenziali distese membra, malamente cadute, il ragazzo indicò la loro impronta.
‒ Nipote, mio! Chicchessia ti avrebbe udito, mentre scappavi litigando con le cornacchie! Perché, ridacchiavi rimirando il divelto cancello del recinto di Primo? Anche lui è, un sacrestano; tuttavia, la sua cultura è molto inferiore alla mia. Lui si limita ad accendere le candele degli altari della chiesa; io, facevo addirittura la manutenzione dell’organo a canne. Interpretando Bach o Haendel, cercavo di verificare la buona accordatura dello strumento; neppure eseguendo tali partiture, il mio orecchio sentiva tutti i suoni dello spettro acustico. Alcune frequenze del regolante fascio sonoro, infatti, si manifestavano restando nella mia mente. Durante la messa domenicale, assistevo solo il parroco; se io avessi accompagnato il coro insubordinato, avrei rischiato di percepire voci immaginarie. Se mi fossi soltanto dedicato alla musica, come compositore, sarei probabilmente diventato famoso. Beethoven era addirittura sordo; pure lui vedeva le note ignorate dall’area cerebrale, necessaria per la loro ricezione. Gli altri sensi, eccezionalmente, interagiscono sostituendosi all’apparato uditivo ‒ enunciò il piccolo uomo canuto, mirando lo steccato di Spinosi; codeste spiegazioni, erano sicuramente recepite dal coinvolto giovane.
Già avviatosi, l’asino aveva raggiunto il tratto di mulattiera attiguo al cimitero; le opache antropiche iridi nere, si erano però astenute dal seguire visualmente l’esperto quadrupede. Certo che il proprio testardo servo avrebbe aspettato scalpicciando sull’asfalto adiacente alla porta della sua stalla, Biagio rinunciò quindi a tallonare questo robusto animale diretto a Castrovalva; giratosi verso il ventenne scrutante gli ombreggianti alberi fiancheggianti la semibuia digradante stradina, l’anziano pareva quasi schivare l’uscita maggiormente vicina di tal tunnel boscoso.
‒ Antonio! Vorrei mai più passare davanti al camposanto; ho scelto di fare la professione dell’elettricista, anche perché i loculi necessitano solo dell’energia artificiale dei lumini. Pure nelle catacombe della chiesa del nostro paesino, c’è qualche morto! Mi muovevo fra i banchi, nientemeno al buio; intento a ricaricare l’orologio del campanile, trascuravo questi preti defunti. La determinazione con la quale io mi dedicavo a un lavoro adatto alle mie capacità, mi faceva diventare temerario; dandomi sicurezza, esso mi induceva a ignorare fenomeni ultraterreni. Disponiamo di poche ottime idoneità; non potendo svolgere qualsivoglia mansione, dobbiamo essere assecondati dalla società. Tale mia asserzione non è, sinonimo di favoritismo. Siamo utili alla collettività, ambedue, vivendo solamente nel nostro mondo riduttivo. Diveniamo fondamentali, per il benessere comune, se viene soddisfatta ogni nostra richiesta. Le nostre pretese, d’altronde, sono alquanto inferiori a quelle dei normodotati. Posso attestare che tutti i miei prioritari desideri sono stati esauditi; ora, spera in un’altrettanta generosità rivolta alle tue esigenze ‒ confidò l’ingiungente Biagio, lambito dai solari lievemente inclinati raggi penetranti attraverso la sgombra occludente soglia; le fitte ricurve fronde di essa fungenti da epistilio congiungente piedritti legnosi, oscuravano comunque il pallido viso pieno di rughe.
Distolto lo sguardo fissante alternativamente tronchi segnalanti i limiti di codesta cupa galleria vitale, il ragazzo si voltò scorgendo le cavità oftalmiche dell’uomo che restava a destra dei velanti occhiali; spinto indubbiamente dal bagliore esterno tanto temuto, il nonno sobbalzava appressandosi all’attonito nipote subito dopo superato.
‒ Domenico, tuo padre, ti somiglia molto. Lui evita però le nuove attività; prima che io lo convincessi a svolgere le funzioni di elettricista, si dedicava unicamente alla coltivazione delle poco proficue vigne. Inizialmente, pensai di dargli le mie pecore che raggiunsero cinquanta unità; ne presi altre venti. A quella epoca, nessuna persona si arricchiva con la pastorizia; le tasse abbastanza alte, conducevano alla rinuncia quasi immediata. Inoltre, io, stavo diventando anziano e debole. Mio figlio, abile allevatore, veniva schiacciato dalle pesanti responsabilità e decise così di impiegarsi in una ditta anche d’impiantistica elettrica. Chi mostra uno “stile evitante”, sempre, preferisce servire l’altrui voglia!
Pacatamente fioca, questa narrante voce divenne gradualmente squillante; infastidito probabilmente dalla faccia inespressiva del muto giovane, il vecchietto aggiunse ‒ Perché, diversamente dal comportamento che tu avevi verso di me, parlavi spesso con Elvira? Assieme a tua nonna, trascorrevi parecchie ore; bambino, guardavi incessantemente i pulcini ai quali lei badava stando davanti a casa. Seduti sul gradino largo della scalinata che collega inferiormente l’ampio atrio esterno del nostro domicilio, formavate una coppia affiatatissima; mia moglie pazientava anche troppo, con il nipote che alternava eccessiva loquacità e un lungo mutismo. Cresciuti, ma non polli di grano, tali uccelli domestici ritornavano nella loro stalla. Domenico, piuttosto preciso, li spostava facendo sì che il suo pargolo piangesse. Il silenzio era circa immediatamente sostituito dal chiasso della gran parte di essi, scampata a uno zoccolo del mio asino cocciuto; io, li ponevo nuovamente nel locale in cui Elvira aveva premurosamente trasferito le chiocce. Adesso che sei adulto, Antonio, rievochi dove questi piccoli pigolanti volatili venivano messi? Ti ricordi della “casa di Iolanda”?

Come è nata l’idea di questo libro?
Questo mio secondo romanzo appartiene al mio progetto di testimonianza personale della poco conosciuta sindrome di Asperger; sia “Essere Sé Stesso” che “I Colori dell’Esistenza”, ha preceduto “Il Mondo Perduto” attraverso il quale io ho principalmente voluto romanzare la ripetitiva esistenza quotidiana del mio asperger. Nel mio saggio, ma pure nel mio primo romanzo, affronto invece anche scientificamente il tema dell’autismo ad alto funzionamento. Con il mio terzo romanzo, completo l’illustrazione delle mie teorie che sembravano improbabili e che sono ora molto veritiere.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Nel 2013, in circa otto mesi, stesi la bozza di “Il Mondo Perduto”. Da gennaio 2018, a maggio 2020, ho assai pazientemente trascorso i pressoché novecento giorni necessari per la mia revisione certosina di questo naturalistico romanzo psicologico. Il talento aiuta molto a superare le difficoltà che ogni meticoloso scrittore trova sempre e comunque.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Ho una conoscenza quasi perfetta degli autori classici; le mie strutture grammaticali, nascono anche dai versi danteschi. Il pensiero leopardiano si cala in scenari manzoniani. I miei studi ingegneristici, poi musicali, hanno quasi sospeso la mia predisposizione letteraria. Venticinque anni dopo il giorno della mia maturità scientifica, ho cominciato a scrivere libri e a dedicarmi nuovamente alla letteratura.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Ho sempre vissuto a Castrovalva; sono nato in questo paesino dell’entroterra aquilano. In tale borgo medievale, vicino a Sulmona, si muovono tutti i personaggi di “Il Mondo Perduto”. I silenziosi paesini pressoché disabitati, sovente, comunicano più di numerose voci umane. Leggendo il romanzo, “tra sogno e realtà”, si viaggia sia nel presente che nel passato.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Continuerò a pubblicare altri romanzi; sto revisionando il mio terzo libro. Ultimato questo fantasy, correggerò anche il mio romanzo epistolare di formazione. Ho migliaia di pagine già scritte e tantissime altre sono nella mia mente autistica. Sono, ormai, uno scrittore. Attraverso i miei romanzi, allevio il mio asperger ed esprimo tutte le mie potenzialità celate finora da vicissitudini didascalicamente presenti pure nei miei libri precedenti. La Lupieditore mi accompagnerà, così spero, in questo mio “vantaggioso” viaggio “infinito”.
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