
Edito da Gruppo Albatros nel 2020 • Pagine: 220 • Compra su Amazon
Un gruppo di amici condivide la scoperta delle emozioni. Trevien, il protagonista, attraverso continui salti nel tempo, peripezie e colpi di scena, beve tutta d'un fiato la vita. Alla continua ricerca dell'ignoto e nel tentativo di superare e abbattere quelle barriere che la natura ci pone, lotta con i suoi fantasmi fino al parossismo. L'autore, Piero Iiriti, con molta chiarezza e immediatezza tratteggia realtà e situazioni molto divertenti. La narrazione è vivace, dal ritmo sostenuto e rende chiaramente l'idea della fragilità umana che spesso si cela dietro pareti trasparenti.

«Se la gente sapesse cosa partorisce il sottosuolo, caro Lexio, amico mio». «Sei stato lì oggi? Trevien, amico mio io invece, studiando delle monete viscontee mi sono intrattenuto in dissertazioni politiche con Antonia Malatesta, sai, nonostante siano passati dei secoli è ancora arrabbiata per l’assassinio di suo marito. Accendi l’auto ho sete, cerchiamo un bar». «Sai Lexio, spero sempre di rivedere Thelmabeth, ma ad oggi non è ancora successo». «Thelmabeth?». «Si chiama così, non te ne ho mai parlato? Ricordi quando ti narrai della prima volta che toccai l’alcol?». «Sì, Trevien, ti eri da poco trasferito a Milano e non conoscendo gli effetti stavi per morire di coma etilico con una bottiglia di Jack Daniels. Ah, ah, ah!». «No, Lexio, non stavo per morire, ero morto. Finii in quella panca di villa Scheibler e rimasi chiuso dentro, e questo lo sai. Ma avvenne dell’altro, qualcosa che nei giorni a seguire credetti fosse un’allucinazione per poi scoprire che non lo era. Insomma dopo l’abbandono dei miei sensi riapro gli occhi, ma la mia vista è annebbiata e tutto mi sembra cangiante, mi sento sospeso nell’aria e riesco ad intravedere una donna che prende la mia mano, lei fluttuante mi porta verso l’alto. Non riuscivo a vederla bene, ero ancora in preda allo stordimento, ma chiedo il suo nome e lei non risponde; passa qualche attimo ancora e sento di essere sdraiato sulla panca, 12 chiedo ancora il suo nome e lei mi sussurra Thelmabeth. Mi sollevo pian piano, il mio corpo è blando, mi sento leggero e mi siedo, non distinguo bene ciò che ho intorno, non so neanche dirti se quella donna fosse bella o meno, nemmeno la sua età. Comincia a parlarmi di come Loro fossero stati veramente colpiti dal mio primo approccio con i piaceri dell’alcol, un’unione quasi erotica, il mio iniziale ungere le labbra, come chi esplora un corpo sconosciuto, le prime lente sorsate in cerca del gusto per poi far scivolare sempre più velocemente la bevanda dentro di me finché la giostra della mia mente perde il controllo. Ero morto per coma etilico mi disse, ma gli angeli dell’alcol o figli di Dioniso, non so chi fossero questi Loro, decisero che così non doveva essere e tramite lei, mi hanno riportato indietro. Lexio, amico mio, quella donna mi disse che da quel giorno in poi tutto sarebbe stato diverso, avrei vissuto scorgendo cose che solo pochi altri potevano vedere, le persone che conoscevo e quelle che avrei conosciuto in futuro sarebbero state diverse. Dovevo essere pronto a vivere più vite fino ad allora inconcepibili ed assurde, mi aspettavano dei momenti in cui il tempo e lo spazio avrebbero oltrepassato gli estremi della relatività, insieme a me molte persone sarebbero diventate parte delle molteplici realtà che ci circondano, in un’unica esistenza, ne avrei sentito i rumori, gli odori, i piaceri ed i dolori. L’alcol sarebbe stato il mio vettore, quella notte, ebbro per la prima volta, io consacrai la mia vita ad esso inconsciamente, Loro, mi salvarono dalla morte donandomi una nuova vita, oltre i confini del tangibile. Inutili i miei tentativi nel chiamarla, Thelmabeth andava via, veniva il giorno, il parco avrebbe riaperto ed io man mano avrei riacquistato le forze per tornare a casa, guardai 13 in alto, luce fioca che filtrava dai rami. «Thelmabeth» continuavo a pensare reiterante. «Thelmabeth, Thelmabeth, Thelmabeth…», da quel giorno avverto spesso la sua presenza intorno a me, sua era la mano che mi condusse a nuovo inizio, il mio lungo ed allucinante viaggio…Thelmabeth». «Thelmabeth, ah, ah, ah! Trevien, ogni bevuta è tutta una battaglia, dove andiamo adesso?». «Scorriamo qui Lexio, per via Teodosio, è piena di bar». C’è una cosa che mi piace di Milano, quando arriva la notte, puoi permetterti ogni tipo di parcheggio: marciapiedi, divieti di sosta, strisce pedonali, i bordi delle rotonde, non credo sia così ovunque; insomma, a quell’ora è giusto avere delle tolleranze, altrimenti sarebbe un grosso problema per il marasma di gente che si riversa nei locali. Era la vigilia di Capodanno, io e il mio sodale Lexio sguinzagliammo le nostre zampe già nel pomeriggio. Bevemmo in alcuni bar insignificanti, poi cominciammo a trovare difficoltà, poiché l’ora di cena era passata e i locali avrebbero riaperto proprio a ridosso della mezzanotte. Dopo aver girovagato per un po’, sbraitando e lamentandoci di come le feste siano un danno per gente come noi, che pretende la continua disponibilità di ogni tipo di esercizio pubblico, finalmente un lume orientale soddisfece la nostre speranze: i cinesi, il popolo che non riposa mai. Ci fiondammo dentro il bar e ricominciammo. Altri clienti? No, solo noi, tanto che i gestori mandorlati se ne stavano al piano superiore presi da una cena riservata ai soli membri della famiglia. Quasi ignorati da essi io e Lexio intavolammo ad alta voce discorsi sul sadismo. 14 «Sai, Sartre paragona il rapporto sadico-vittima a quello tra un padrone e il suo schiavo». Lexio si aspettava continuassi e infatti proseguii. «Non credo sia così, i personaggi di De Sade si appropriano dei corpi delle loro vittime per soddisfacimento sessuale, mentre il rapporto padrone-schiavo si costituisce dallo sfruttamento della sua forza lavoro, Lexio posò la birra. «Sai Trevien, se ci pensi, i libertini di De Sade si impadroniscono totalmente delle vite dei malcapitati, abusando di loro hanno potere di vita e di morte, penso che Sartre abbia trovato delle analogie in quasi tutti i popoli, ma il dominio dei dissoluti sulla vita degli schiavi era assoluto». «Non sempre» dissi. «No, non sempre». Poi proseguii. «Se ci penso, i suoi libertini prima di compiere gli abusi attaccano le vittime moralmente, con tutta una serie di preamboli che inneggiano ai principi di dominio delle caste più forti e di agnelli destinati al sacrificio, in alcuni suoi episodi addirittura vi sono abusi sessuali che sorpassano l’estremo e giungono all’impraticabile, la persecuzione che la società dell’epoca gli ha dedicato, con arresti connessi, lo hanno portato al delirio». L’allegra famigliola mandorlata cominciò ad aguzzare le orecchie e io li notai. Lexio sussultò. «Dai, dai, ricordami alcuni esempi». Cominciai a rammentare ed a descrivere alcuni deliri sessuali sadiani, osceni e a dir poco stomachevoli, mentre non riuscivo a capire se i mandorlati al pianerottolo superiore fossero disturbati nella morale per le empietà che raccontavo o era il loro stomaco a protestare. Mi interruppe Lexio, che girato di spalle non sapeva che 15 avevamo suscitato la loro l’attenzione chiamandoli in causa. «E di loro che ne pensi? Stakanovisti o schiavi anch’essi? Irriducibili nel lavoro: quando tutti riposano, loro tengono aperti i battenti». «Lexio, sto pensando all’antico mito della caverna di Platone». Tentai la risposta metaforica. «Ah già! Se cresci nell’oscurità non puoi vedere cosa c’è di meglio fuori e pensi che le catene siano una normalità». «Grazia, la cinese di quel bar in zona Lambrate. Hai presente?» chiesi. «Sì, quel solito bar» rispose. «Non mi importa niente il capire come abbiano deciso di tramutare il suo vero nome in Grazia, non voglio saperlo, tutto ciò è divertente. Quando gli racconto che a volte ho dei turni di solo sei ore mi guarda come un alieno, che giunge da mondi lontani, ed io rispondo «Grazia,tu vivi nella caverna di Platone». Mi alzai, il problema della birra è la dipendenza che si instaura con i servizi igienici. «Vado ad espletar minzione». Torno al tavolo, Lexio era impegnato nella messaggistica del cellulare, si rifiutava di averne uno con tutti i comfort,pertanto il suo era buffo ed obsoleto, con una barra bianca sul retro su cui era segnato il suo numero. Nel frattempo cominciai a sentirmi osservato, volsi lo sguardo in alto, ma niente, la loro cena proseguiva. Mi guardai intorno ed i miei occhi si fermarono sul vetro che mostrava la strada. Sentii del disagio, ero effettivamente osservato, una miriade di occhi a mandorla erano là.

Come è nata l’idea di questo libro?
Non ho mai pensato di diventare uno scrittore, semplicemente un bel giorno ho sentito l’esigenza di farlo, tante cose ho vissuto fino ad oggi e tante ne ho immaginate.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
Tanto, e lo è ancora, visto che questa è solo una prima parte. Non è facile gestire gli episodi biografici che vanno ad intrecciarsi con la dimensione spesso surreale e fantastica che i personaggi vivono.
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
Non ho dei riferimenti, è abbastanza singolare ciò che ho scritto. Ad oggi, posso però dire che gli autori che ho più esplorato sono Tolkien, Dick, Poe, Joyce, Dostoevskij, Shakespeare, ne dimentico sicuramente qualcuno. Mi concedo spesso alle letture della filosofia e della psicologia. Insomma mi piace spaziare tra i generi.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Attualmente abito in provincia di Milano, ho passato molto tempo anche a Brescia, ma è in Calabria che son cresciuto.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Non ho dei veri e propri progetti, sono un ferroviere, quello è il mio lavoro. Spero solo di riuscire a continuare l’opera, coinvolgere e incuriosire il lettore, che una volta finito di leggere Thelmabeth si chieda “Cosa succederà nel libro seguente?”
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