
Edito da Scatole Parlanti nel 2021 • Pagine: 166 • Compra su Amazon
Elena e Chiara sono due giovani donne che vivono a Roma e si incontrano per caso nella sala d’attesa di uno studio medico. Per Elena l’ossessione di un figlio che non arriva diventa un dramma esistenziale, che mina la tenuta di un rapporto di coppia importante, per il quale ha lasciato la Sardegna e cambiato tutti i suoi piani. Chiara invece deve imparare a lasciare andare il passato e a fidarsi di nuovo dell’amore. Insieme, vinceranno il buio che le attraversa per ritrovare il sentiero della vita. Cambiamenti, indagini interiori, amicizie che sanano mancanze familiari, eventi dolorosi e nuovi inizi, inattesi. Sullo sfondo, la condivisione di una patologia cronica che colpisce circa centosettanta milioni di donne nel mondo. Tre milioni solo in Italia. Il suo nome è endometriosi.

Le emozioni colpiscono in profondità e nessuno si salva davvero da solo.
A volte succede che ad avere il sopravvento sia l’insana voglia di chiudersi in una bolla che ci isoli dal resto del mondo che continua a girare rumoroso e lesto, ignaro. Chiusi lì dentro, non ci si accorge che basterebbe aggrapparsi alla mano tesa di chi amiamo, implorandolo di salvarci, di tirarci fuori, di compiere per noi l’immane sforzo di tradurre in parole ciò che cerchiamo di nascondere. Di gridare al posto nostro, sfogare la nostra angoscia protestando contro Dio. Di suggerirci percorsi di senso.
(…)
Freddo. Questo sente prima di riaprire gli occhi. Umido e freddo. Si porta le dita alla tempia e tocca un pezzo di stoffa bagnata che le procura un brivido, poi un calore le avvolge la mano, apre gli occhi e vede Matteo in ginocchio dietro di lei, le sta reggendo la testa e con un tovagliolo riempito di cubetti di ghiaccio preme forte sulla sua tempia. Ricorda la scena che l’ha portata laggiù e cerca la forza di sollevarsi a sedere. Si volta e trova gli occhi liquidi di lui. La tensione sciolta in preoccupazione.
«Mi hai fatto spaventare. Come ti senti?».
«Ho bisogno di sdraiarmi sul letto».
La accompagna in camera e l’aiuta a togliere gli stivali, le sistema i cuscini dietro le spalle e le chiede se vuole compagnia.
Elena ci pensa un attimo, lo osserva, nota due rughe nuove intorno ai suoi occhi e si chiede quando è stata l’ultima volta che l’ha guardato davvero. Si sorprende nel vedere la sua mano che va a toccare quelle rughe, come se assistesse alla scena dall’esterno. L’espressione di gratitudine sul volto di Matteo per quel gesto di tenerezza le spezza il cuore. Combatte un po’ per ricacciare indietro il pianto ma lui se ne accorge e l’abbraccia sussurrando: «Lasciati andare. Almeno con me, lasciati andare».
È la serata più sfuggente che abbiano mai vissuto da quando stanno insieme. Non gli era mai successo di avvertire questa distanza e allo stesso tempo la sensazione di non sapere come colmarla. Come se tra loro ci fosse uno di quei ponticelli sconnessi che si incontrano sui sentieri di montagna, fatti di tavole grezze di legno, saltate in più punti per via delle intemperie, del vento, del tempo. E non sanno come attraversarlo questo ponte. Se guardano dove poggiare i piedi perdono il contatto visivo tra loro, che è ciò che li motiva a camminare, se invece provano a guardarsi negli occhi, a scrutarsi da lontano, rischiano di precipitare. Se ne stanno così, a cercarsi nella nebbia, abbracciati e stanchi, con i singhiozzi di Elena sul petto di Matteo che si asciuga svelto la pioggia silenziosa che gli bagna il viso.

Come è nata l’idea di questo libro?
Scrivere di ciò che si conosce, così è nata l’idea. La patologia di cui si parla nel romanzo mi accompagna da diciotto anni e questo mi ha permesso di conferire nitore al dramma interiore delle protagoniste. Ho scelto un tema scomodo per un romanzo d’esordio, ma durante la stesura e ancora di più dopo le prime presentazioni in pubblico ho maturato la consapevolezza di poter aiutare gli altri con le mie parole a non sentirsi soli, a elaborare la diagnosi di una malattia cronica (qualunque essa sia), a trovare la forza di accettarsi e di vivere, più intensamente, nonostante tutto.
Quanto è stato difficile portarlo a termine?
La cosa più difficile è stata arrivare alla pubblicazione! Questo romanzo ha vagato in lungo e in largo per la penisola: è stato presentato a molte case editrici da un’agenzia letteraria che aveva scelto di puntare su questa storia. Ha ricevuto tanti rifiuti e alla fine, quando avevo ormai deciso di rimetterlo nel cassetto dei sogni, è arrivata la telefonata da parte di Scatole Parlanti…
Quali sono i tuoi autori di riferimento?
La lista sarebbe troppo lunga, sono una lettrice onnivora. Negli ultimi anni ho prestato particolare attenzione alle case editrici indipendenti e ai loro autori, scoprendo voci davvero interessanti.
Dove vivi e dove hai vissuto in passato?
Sono nata a Roma e ho vissuto lì per più di trent’anni. Attualmente vivo nella provincia di Viterbo, in un meraviglioso territorio chiamato Tuscia.
Dal punto di vista letterario, quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo un secondo romanzo e ho inviato in lettura ad alcune case editrici un libro per bambini. Mi piace anche scrivere racconti che invio a riviste letterarie indipendenti.