“L’inizio della notte’”, pubblicato da Leucotea edizioni, è il nuovo romanzo distopico di Damiano Leone. Il libro introduce il lettore in un’atmosfera fantascientifica e, a tratti, utopica; la narrazione si svolge, infatti, in un contesto che descrive uno scenario di un prossimo futuro apocalittico in cui predomina la distopia. Damiano Leone, però, non tralascia di veicolare importanti messaggi al lettore che, nel corso del romanzo, presenta con grande abilità linguistica attraverso una narrazione attenta e dettagliata.
La storia è ambientata a New York, nella prima parte del terzo millennio; a causa dei cambiamenti climatici anche la popolazione è ormai mutata, sia nella propria visione del mondo che nel percezione delle cose. La protagonista assoluta dell’intera narrazione è la casa farmaceutica Genetic Project fondata dal misterioso miliardario greco Alexandros Cristhopoulos. Il team della Genetic Project è formato da quattro scienziati, Filippo Grassi, Takeda Nakai, Birgitt Horward e Sara Randi, che lavorano a un progetto rivoluzionario: la creazione di un elisir che possa manipolare la genetica umana. Fra le peculiarità della sostanza creata dagli scienziati c’è quella di rallentare l’invecchiamento fornendo quindi la possibilità di godere di una vita più lunga, ma soprattutto la capacità di far nascere degli esseri umani con delle potenzialità maggiori, sia dal punto di vista fisico che intellettuale e morale.
Il romanzo, scritto in modo fluido e scorrevole, tratta tematiche importanti come la clonazione, la prepotenza della lotta di potere in cui vige la legge dell’arroganza e del più forte , i sentimenti che superano anche la diversità e il cambiamento climatico ma, soprattutto, sottolinea diverse sfumature di realismo appartenenti al modo di vivere odierno. Le problematiche affrontate in questo romanzo distopico, non molto distante da 1984 di George Orwell, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury o Cecità di José Saramago, lanciano un messaggio determinante: presto o tardi, nella realtà e non nei romanzi, se imperverseranno problematiche simili o se l’uomo non avrà cura di ciò che gli è stato donato l’umanità sarà costretta ad adattarsi a nuovi ritmi di vita con effetti, probabilmente, negativi per la stessa.
Un’umanità non vedente che dirige il pianeta in un baratro oscuro grazie a politiche non idonee e atteggiamenti individuali egoistici: attraverso metafore, neanche troppo velate, e un finale che fa riflettere l’autore cerca di risvegliare il lettore all’amore: l’uomo di oggi, infatti, può salvarsi solo grazie all’amore per l’ambiente e all’amore e alla gentilezza verso l’altro, poiché amare il pianeta e i suoi abitanti equivale anche ad avere amore anche verso sé stessi.
Recensione a cura di Annalina Grasso
Annalina Grasso è una giornalista pubblicista nata a Benevento. Si è laureata in Lettere moderne all’Università Federico II di Napoli con una tesi su Giacomo Debenedetti interprete di Marcel Proust e si è specializzata in filologia moderna a indirizzo linguistico presso la medesima università, con particolare interesse verso la storia della lingua italiana. Ha frequentato un corso di laurea magistrale in Editoria e scrittura presso l’Università Tor Vergata di Roma, un breve corso di studi umanistici alla Sorbona e ad Harvard (incentrati soprattutto sulla Divina Commedia), un corso di media social communication alla Ninja Academy di Milano e un master in arte e organizzazione di eventi culturali (specialmente mostre d’arte). Da anni si occupa di cinema, arte e letteratura e nel 2014 ha fondato il magazine culturale online ‘900letterario, che dirige. Le sue ricerche e studi sono volti alla divulgazione di opere letterarie e cinematografiche meno conosciute.
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