Corredato da un’ampia anteprima, ecco il riassunto della trama di Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne. Il romanzo è pubblicato in Italia, tra gli altri, da Rizzoli, con un prezzo di copertina di 8,90 euro (ma online lo si può acquistare con il 15% di sconto)
Il giro del mondo in 80 giorni: trama del libro
È il 2 ottobre 1872. Phileas Fogg è un uomo ricco, riservato, celibe e con abitudini regolari. La fonte del suo denaro è sconosciuta ed egli vive, senza sforzo, una vita assai metodica. Licenzia il suo precedente servitore per avergli portato l’acqua per radersi di due gradi Fahrenheit (circa un grado centigrado) troppo fredda ed assume come rimpiazzo Passepartout (Gambalesta, in alcune traduzioni italiane), un francese sulla trentina, che si rivela in gamba e affettuoso verso il proprio padrone. Più tardi al Reform Club, di cui Fogg è socio e che ogni giorno raggiunge a piedi facendo sempre lo stesso numero di passi, si fa coinvolgere insieme ad altri cinque membri in una discussione riguardo ad un articolo del Daily Telegraph, il quale premette che c’è stata una rapina alla Banca d’Inghilterra ed afferma che grazie all’apertura di una nuova linea ferroviaria in India, è ora possibile viaggiare intorno al mondo in 80 giorni. I compagni di Fogg mettono in dubbio che sia davvero possibile percorrere l’intero globo in così poco tempo, così Fogg accetta di scommettere 20.000 sterline con i suoi cinque compagni del Club, ognuno dei quali mette in palio 4.000 sterline. Fogg riceverà la somma a patto di riuscire a completare il giro del mondo in 80 giorni. Il gentiluomo parte la sera stessa portando con sé il suo nuovo servitore Passepartout e una borsa in cui ripone 20.000 sterline per le necessità del viaggio.
Edito da Rizzoli nel 2010 • Pagine: 308 • Compra su Amazon
Quando il gentiluomo Phileas Fogg scommette con gli amici del suo club londinese che riuscirà a girare il mondo in soli ottanta giorni, non ha la minima idea di ciò che lo aspetta. Sarà l'astuzia la sua arma segreta, che gli farà vincere la scommessa e trovare... → CONTINUA SU AMAZON
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A uno dei più grandi oratori che abbiano mai onorato l’Inghilterra succedeva, dunque, questo Phileas Fogg, del quale nessuno sapeva nulla, se non che era un uomo di modi squisiti e uno dei più bei gentleman dell’alta società inglese.
Dicevano che rassomigliava a Byron – nel volto, però, ché quanto ai piedi non si può sapere – ma ad un Byron con baffi e favoriti, ad un Byron impassibile, che avrebbe potuto vivere mille anni senza invecchiare.
Inglese certamente Phileas Fogg non era, forse londinese. Non lo si era, infatti, mai visto né in Borsa, né alla Banca d’Inghilterra, né in alcuna agenzia bancaria della City. Né le darsene né i docks londinesi avevano mai accolto una nave il cui armatore fosse Phileas Fogg. Questo gentleman non appariva in alcun comitato d’amministrazione. Il suo nome non era mai stato pronunziato né in un collegio d’avvocati, né al Tempio, né a Lincoln’s Inn, né a Gray’s Inn. Mai egli aveva patrocinato alla Corte cancellieresca, né al Banco della Regina, né allo Scacchiere, né in Corte ecclesiastica. Non era né industriale, né negoziante, né mercante, né agricoltore. Non faceva parte né della Reale Fondazione di Gran Bretagna, né della Fondazione Londinese, né della Fondazione Russel, né della Fondazione Letteraria Occidentale, né della Fondazione del Diritto, né di quella Fondazione delle Arti e delle Scienze riunite ch’è posta sotto il diretto patronato di Sua Graziosa Maestà. Non apparteneva, infine, ad alcuna delle numerose società che pullulano nella capitale inglese, dalla Società dell’Armonica alla Società Entomologica, fondata col precipuo scopo di distruggere gli insetti nocivi.
Phileas Fogg era socio del Reform Club, e basta.
E a chi si stupisse che un gentleman così misterioso fosse annoverato fra i membri di una tal rispettabile associazione, risponderemmo che era stato ammesso a seguito della raccomandazione della Banca Fratelli Baring, presso cui aveva credito aperto. Di qui un certo prestigio, dovuto al fatto che i suoi assegni venivano regolarmente pagati a vista sull’ammontare del suo conto corrente, invariabilmente creditore.
Era dunque ricco, questo Phileas Fogg? Indiscutibilmente. Ma come fosse riuscito a diventarlo, non erano in grado di dirlo neppure i meglio informati, e lui, Mr. Fogg, era l’ultima persona alla quale convenisse rivolgersi per saperlo. Ad ogni modo, non era affatto prodigo, ma neanche avaro, perché, sempre che si rendesse necessario un contributo per una qualche nobile, utile o generosa iniziativa, lo apportava silenziosamente, e talvolta anche anonimamente.
Nessuno, insomma, poteva esser meno comunicativo di questo gentleman. Il quale parlava il meno possibile, e sembrava tanto più misterioso in quanto era silenzioso. La sua vita, nondimeno, si svolgeva alla luce del sole, ma ciò ch’egli faceva era sempre tanto matematicamente la stessa cosa che l’immaginazione, scontenta, si volgeva a cercare oltre quei limiti.
Aveva viaggiato? Probabilmente, ché nessuno più di lui era padrone della carta geografica del mondo, né v’era sito, per remoto che fosse, di cui non dimostrasse una conoscenza particolare. Qualche volta, ma con poche frasi, brevi e chiare, correggeva le tante dicerie che circolavano nel club relativamente a viaggiatori dispersi o smarritisi, indicando ciò che veramente poteva essere avvenuto, e spesso le sue parole erano apparse come ispirate da una specie di seconda vista, a tal punto i fatti finivano sempre col dar loro ragione. Era un uomo che doveva aver viaggiato in lungo e in largo: in ispirito, almeno.
Stava però di fatto che da molti anni Phileas Fogg non si era mosso da Londra. Quelli che avevan l’onore di conoscerlo un po’ meglio degli altri attestavano che, tranne che su quella strada diretta ch’egli percorreva ogni giorno per recarsi dalla propria abitazione al club, nessuno poteva asserire d’averlo mai visto altrove. Il suo unico passatempo era leggere i giornali e giocare al whist. A questo gioco silenzioso, così adatto al suo temperamento, vinceva sovente, ma non intascava mai le sue vincite, le quali figuravano, per un ammontare importante, nel preventivo delle sue beneficenze. D’altronde, e questo va sottolineato, Mr. Fogg giuocava evidentemente per giuocare, non per vincere. Per lui, il gioco era una battaglia, una lotta contro una difficoltà, ma una lotta senza movimenti, senza spostamenti, senza disagi, e ciò si confaceva al suo carattere.
Non risultava che Phileas Fogg avesse moglie o figli – il che può capitare anche agli uomini più onesti –, e neppure parenti o amici – il che, a dire il vero, è più raro. Phileas Fogg viveva solo, nella sua casa di Saville Row, dove non penetrava nessuno. A servirlo bastava un unico domestico. Al club faceva colazione, al club pranzava, e in ore cronometricamente stabilite, sempre nella stessa sala, sempre alla stessa tavola, senza rivolger la parola ai consoci, senza invitare alcun estraneo: sicché rincasava soltanto per andare a letto, a mezzanotte precisa, né mai s’era servito d’una di quelle confortevoli camere che il Reform Club tiene a disposizione dei soci. Su ventiquattr’ore, ne trascorreva dieci nel proprio domicilio, e dormendo e attendendo alla propria toletta. Se faceva quattro passi, li faceva, con ritmo eguale, invariabilmente nel vestibolo dal pavimento di legno intarsiato, oppure sulla loggia circolare al di sopra della quale tondeggia una cupola con le vetrate azzurre, sorretta da venti colonne di stile ionico in porfido rosso. Tanto a colazione quanto a pranzo, erano le cucine, la dispensa, la credenza, la pescheria, la latteria del club a fornire alla sua tavola le loro succulente riserve; erano i domestici del club, gravi personaggi vestiti di nero, calzanti scarpe dalle suole di mollettone, a servirlo in un vasellame speciale e su mirabili tovaglie di tela Sassonia; erano i cristalli in un unico esemplare del club a contenere il suo sherry, il suo porto o il suo chiaretto mescolato con cannella, capelvenere e cinnamo; era, infine, il ghiaccio del club – ghiaccio venuto, con gran dispendio, dai laghi d’America – a conservare le sue bevande in un gradevole stato di freschezza.
Se vivere in tali condizioni significa essere eccentrici, bisogna convenire che l’eccentricità ha i suoi vantaggi!
La casa di Saville Row, seppure non sontuosa, aveva il merito d’essere estremamente comoda. D’altra parte, date le invariabili abitudini del locatario, il servizio vi si riduceva a ben poca cosa, anche se Phileas Fogg pretendeva dal suo unico domestico una puntualità e una regolarità eccezionali. Proprio quel giorno, ossia il 2 ottobre, Phileas Fogg aveva licenziato James Forster – essendosi questo giovanotto reso colpevole d’avergli portato, per la barba, acqua a ottantaquattro gradi Farenheit, invece che a ottantasei – e ne attendeva il successore, che doveva presentarsi dalle undici alle undici e mezzo.
Phileas Fogg, rigidamente seduto in poltrona, con i piedi uniti come quelli d’un soldato durante una rivista, le mani appoggiate sulle ginocchia, il busto eretto, la testa alta, osservava l’avanzare della sfera del pendolo, un apparecchio complicato che segnava le ore, i minuti, i secondi, i giorni, le date e gli anni. Alle undici e mezzo in punto, Mr. Fogg, secondo il suo costume quotidiano, doveva uscire per recarsi al Reform Club.
In quel momento qualcuno bussò all’uscio del salottino in cui Phileas Fogg se ne stava.
Comparve James Forster, il licenziato.
«Il nuovo domestico,» disse.
Si fece avanti un giovanotto d’una trentina d’anni, e salutò.
«Siete francese e vi chiamate John?» domandò Phileas Fogg.
«Jean, se al signore non dispiace,» rispose il nuovo venuto; «Jean Passepartout, nomignolo che mi è rimasto e che era giustificato dalla mia congenita attitudine a trarmi d’impaccio. Credo d’essere un giovane onesto, signore, ma, a dire il vero, ho fatto parecchi mestieri. Sono stato cantante girovago; poi cavallerizzo in un circo, dove eseguivo il volteggio come Léotard e danzavo sulla corda come Blondin; indi, per mettere a miglior frutto le mie capacità, sono diventato insegnante di ginnastica, e, infine, ho fatto parte dei pompieri di Parigi: nel mio stato di servizio conto anche alcuni incendi notevoli. Ma da cinque anni ho lasciato la Francia e, desideroso di assaporare la vita di famiglia, faccio il domestico in Inghilterra. Adesso, trovandomi disoccupato, ed essendo venuto a sapere che il signor Phileas Fogg è l’uomo più preciso e sedentario del Regno Unito, mi sono presentato in casa del signore nella speranza di vivervi tranquillo e di dimenticare perfino questo nome di Passepartout…»
«Passepartout mi va a genio,» disse il gentleman. «Voi mi siete stato raccomandato: ho buone informazioni sul vostro conto. Conoscete le mie condizioni?»
«Sì, signore.»
«Bene. Che ora fa il vostro orologio?»
«Le undici e ventidue,» rispose Passepartout, traendo dalle profondità del suo taschino un enorme orologio d’argento.
«Ritarda,» disse Mr. Fogg.
«Chiedo scusa al signore, ma è impossibile.»
«Ritarda di quattro minuti. Ma non importa: basta tenere conto della differenza. Dunque, da questo momento, undici e ventinove del mattino, addì, 2 ottobre 1872, mercoledì, voi siete al mio servizio.»
Ciò detto, Phileas Fogg si alzò, prese il cappello con la sinistra, se lo pose in capo con un gesto d’automa e scomparve senza aggiunger sillaba.
Passepartout udì la porta della strada chiudersi una prima volta: era il suo nuovo padrone che usciva; e poi una seconda volta: era il suo predecessore, James Forster, che, a sua volta, se ne andava.
Passepartout rimase solo nella casa di Saville Row.
Per la biografia e la bibliografia completa dello scrittore francese rimandiamo i lettori alla pagina di Wikipedia dedicata a Jules Verne.
Ciao
Ciao Iris
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